E finisce così, questa favola breve se ne va… È finita con un: “che nulla cambi, affinché nulla cambi”, come forse avrebbe chiosato un redivivo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in una sua ipotetica versione 2.0 del Gattopardo.
Ora che le manovre dei grandi elettori si sono concluse e che, in via ufficiale, l’Italia si vede somministrare una dose booster di Sergio Mattarella al Colle, stiliamo le pagelle per tutti i principali protagonisti di questa grottesca, e a tratti kafkiana, settimana di voto quirinalizio.
Matteo Salvini. Era difficile peggiorare la performance del Papeete, ma il buon Matteo è tipo testardo e, se si mette in testa qualcosa, riesce anche nelle imprese impossibili. Uomo di lotta e di governo, si è presentato ogni mattina come il leader del centrodestra, con malcelate simpatie filomeloniane, salvo indossare, subito dopo pranzo, gli abiti governativi di chi si muove solo nell’ambito della maggioranza draghiana. È così riuscito nella difficile impresa di perdere credibilità ovunque, sia agli occhi della maggioranza che dell’opposizione. Ha bruciato più candidati lui che eretici la Santa Inquisizione. Si sarebbe tentati di dargli zero, ma lo zero assoluto avrebbe comunque una sua dignità. Voto 1
Sergio Mattarella. “Ho detto no! E si sa che quando io dico no…” Colui che fece il “gran rifiuto” di ricandidarsi al Quirinale, ha passato gli ultimi mesi a postare più selfie lui, sui social, di tutta la famiglia Ferragnez messa insieme: scatoloni pronti per il trasloco, immagini con l’inquilina della nuova casa in cui si sarebbe trasferito… Chi più ne ha, più ne metta. Salvo poi rimangiarsi tutto per “il bene della nazione”. Quando Ciampi si trovò nella stessa situazione, affidò il suo niet a una riga scritta e ufficiale, senza scomodare Instagram. Tutto è bene quel che finisce bene, per carità, e solo gli stolti non cambiano mai idea, ma comunque… – Voto 4
Silvio Berlusconi. Sembrava improvvisamente ringiovanito. Per settimane, si era rinchiuso in casa con l’amico Sgarbi, a fare scherzi telefonici ai parlamentari, pur di raccattare voti, quasi fosse tornato un goliardico adolescente. Li ha chiamati tutti, uno ad uno, con la molletta sul naso, il viso nella bacinella e l’accento svedese: “Prontiii…” “Berlusconi, è lei?” Proprio per questo, è stato il primo ad accorgersi che ormai in Parlamento nessuno controlla più nessuno e a defilarsi saggiamente in una clinica, come ai bei tempi dei processi per la nipote di Mubarak. Si è sottratto così alla Caporetto della politica, ottenendo, perlomeno, una stiracchiatissima sufficienza. Voto 6
Enrico Letta. Si cominciò a votare per il Quirinale e non si presentò nessuno: era Enrico Letta! Nell’inedita riedizione della parodia di Prodi fatta da Corrado Guzzanti, quella in cui il leader resta fermo e immobile come un semaforo, Letta Junior è riuscito nella mirabolante impresa di vincere una partita in cui non ha mai toccato palla. Grazie alla sfilza di autogol inanellata dai propri avversari, tale da far impallidire il ricordo del leggendario Comunardo Niccolai, il PD porta a casa i tre punti e il Mattarella Bis. Certo, prima o poi, Letta dovrà anche aprire bocca per dire qualcosa e, a quel punto, potrebbe venire giù tutto, ma per ora, seduto in silenzio sulla sponda del fiume, può gustarsi sereno questa rocambolesca vittoria. Voto 6++
Giuseppe Conte. Conte chi? Voto 2
Elisabetta Casellati. La senatrice Maria Elisabetta Alberti Serbelloni Mazzanti Viendalmare in Casellati, si è ostinata per giorni a voler essere la protagonista assoluta, in vista del varo della nave per la nuova presidenza della Repubblica: “Capovaro, vado?” “Vadi contessa, vadi!” Ha fatto così fuori nell’ordine: Sindaco con fascia tricolore, Ministro della Marina Mercantile, centoduenne baronessa Filguelli De Monchant, mignolo netto dell’Arcivescovo, con anello pastorale. Per quale ragione non si sia sottratta al suicidio politico e abbia dato in pasto il proprio nome ai franchi tiratori e al pubblico ludibrio, è un mistero degno dei pastorelli di Fatima. Esce da queste elezioni come un’icona indiscussa per gli amanti del fetish e del sadomaso. Voto 2
Matteo Renzi. Tutto compreso nel ruolo di un immobile “diversamente Letta”, si è unito all’ex compagno di partito nei festeggiamenti finali, data l’inattesa vittoria di una gara tutta giocata in difesa, senza mai intravvedere lo specchio della porta avversaria. Superfluo e trionfante, pare quasi un generale napoleonico, ma di quelli per i quali il Bonaparte diceva: “Preferisco un generale fortunato rispetto a uno bravo”. Chapeau. Voto 6
Giorgia Meloni. Come può capitare solo a una grande perdente di successo, è stata battuta su tutta la linea, riuscendo così a ottenere, in perfetta solitudine, la leadership di ciò che resta della destra italiana. Se, nell’anno zero di quell’area politica, fra macerie fumanti, la più famosa madre cristiana d’Italia, saprà tirare fuori dal cilindro un piano Marshall di ricostruzione, al momento non è dato sapere. Le sue truppe, comunque, sono le uniche rimaste sempre coerenti e fedeli. Le si può dunque assegnare qualche voto in più del dovuto, in segno d’incoraggiamento. Voto 6
Mario Draghi. Certo, non porterà i nipotini a passeggiare nei giardinetti del Quirinale, ma il nonno d’Italia ha ottenuto il massimo risultato possibile. E con il minimo sforzo. Il suicidio collettivo della classe politica, gli permetterà ora di governare fino a fine legislatura, senza che nessun partito possa più tirarlo per la giacchetta. Inoltre, sul Colle, è rimasto l’unico Presidente della Repubblica in grado di riaffidargli l’incarico, qualunque sia il risultato delle elezioni del 2023. Dunque, SuperMario non solo ha ricacciato oltre il Limes l’assalto dei Barbari che erano alle porte del suo Draghistan, ma ha persino rafforzato e allargato i confini del proprio impero. Voto 7
I Peones. Oltre ai roboanti proclami per “non rompere gli equilibri istituzionali in una fase difficile per il paese”, la trionfante rivolta dei peones, ha ottenuto un inatteso e ampio successo, raggiungendo, assieme alla rielezione di Mattarella, anche il più importante degli obiettivi politici in gioco: evitare a circa un migliaio di concittadini, trovatisi all’improvviso a serio rischio d’imminente licenziamento, di perdere il proprio stipendio. Questa nobile lotta sindacale, ha fatto convergere numerose personalità, provenienti dalle più diverse storie politiche, in un clima di unità nazionale, quale non si vedeva dai tempi della lotta al terrorismo. Blindato in tal modo il proprio emolumento da parlamentare, tutti i peones potranno ora serenamente tornare a seguire, con fedeltà e rigore, le indicazioni delle segreterie dei rispettivi partiti. Voto 8