Il 23 novembre scorso il Ministro Brunetta aveva presentato il portale di reclutamento InPaillustrando la grande ondata di assunzioni che sarebbe dovuta arrivare da lì a poco nel settore pubblico, un’ondata da capogiro che, tra assunzioni definitive e a tempo determinato, era ipotizzato in 1-1,3 milioni di forza lavoro.
La maggior preoccupazione espressa in quella sede dal Ministro era più per l’urgenza di individuare le figure adeguate, che per gli stipendi da pagare ai professionisti.
Su queste basi il 17 novembre scorso si erano espressi dubbi sul decreto reclutamento, ritenuto al di sotto delle aspettative per una serie di ragioni, in particolare destava sospetto l’idea di poter acquisire importanti specializzazioni e professionalità, senza essere disposti a pagare il loro prezzo.
Il tempo ha confermato quelle preoccupazioni. Difatti, pare che fra stipendi bassi, contratti precari e difficoltà logistiche, le competenze tecniche, professionistiche e specialistiche tanto inseguite come unico fattore dirimente per il rilancio e la rigenerazione della PA – quasi non esistesse personale già attualmente dipendente della PA in possesso di quelle e ben altre competenze – abbiano declinato l’assunzione. Meglio il privato, che a parità di super curriculum paga il dovuto.
In altre parole chi, in possesso delle elevatissime competenze richieste ha già occupazione (altrimenti non si vede come possa avere tutta la serie di requisiti e titoli iper professionali e di elevatissimo livello ed esperienza richiesti), ha dovuto prendere atto che le funzioni delineate dal decreto ne comprimono la portata e rilevanza, prescrivendone l’equiparazione, per quanto attiene al trattamento economico fondamentale ed accessorio e ad ogni altro istituto contrattuale, al profilo funzionariale ministeriale senza autonomia organizzativa e professionale, e ha quindi ringraziato e declinato. Rimangono coloro che sono in cerca di un lavoro. Ma non era questo l’obiettivo, immaginiamo.
E quindi torniamo alle solite, avvinghiati nostalgicamente a quel mondo parallelo, non terreno, in cui gli slogan, le buone intenzioni, i proclami servono solo a portare speranze di cambiamento, che puntualmente si frantumano sullo scoglio dei fatti.
Quanto ci vorrà a far capire alla politica, datore di lavoro dei dipendenti pubblici, che l’Eldorado è già in casa?
Ma anche questa è purtroppo una domanda retorica. La visione di prospettiva che sta piano piano emergendo nella faticosa realizzazione del piano reclutamento è illuminata da un solo faro: il (solito) rafforzamento del classico apparato burocratico, da sempre all’apice della Pubblica amministrazione e che ha portato la PA italiana alle non certo lusinghiere posizioni nelle classifiche internazionali di efficienza, trasparenza, tempestività e qualità.
La verità è che ancora una volta non si sta cogliendo l’importante occasione che ci era stata concessa per cambiare, per modernizzare, per correre, per colpa dell’arroccamento sulla torre d’avorio di chi pensa di conoscere bene realtà complesse e non cerca la discussione e il confronto inclusivo con chi opera effettivamente all’interno della PA e da sempre formula proposte in materia di deburocratizzazione, digitalizzazione e rigenerazione della PA, proprio attraverso la valorizzazione delle competenze professionistiche multidisciplinari, interne ed esterne alla PA, che in questo particolare momento storico possono costituire la leva di semplificazione e accelerazione dei processi decisionali delle Pubbliche amministrazioni, non solo per l’attuazione degli indirizzi contenuti nel Recovery Plan, ma anche per la PA competente, efficiente e deburocratizzata del futuro.