È iniziata l’edizione 2022 dell’Eurovision Song Contest, un’edizione “made in Italy”, che pare essere quest’anno sotto i riflettori del mondo più per questioni politiche, legate al conflitto russo-ucraino, che per la qualità delle canzoni in gara.
Infatti, proprio come avvenuto a Wimbledon – torneo da cui sono stati esclusi tutti i tennisti russi – anche la competizione canora di Torino non vedrà partecipare, per scelta dell’organizzazione, nessun rappresentante della Russia.
A differenza, invece, di quanto avviene per l’Ucraina che, oltre ad essere regolarmente in gara, parte anche come grande favorita, secondo il parere dei bookmaker. Un pronostico generato più da ragioni geopolitiche, che da un’oggettiva superiorità artistica e musicale dei cantanti ucraini.
Il successo finale degli ucraini pare, ormai, così scontato, al punto che anche Enrico Mentana, già durante la prima serata, sul suo quotidiano online “Open”, ha deciso di parlare di “vittoria dell’Ucraina” e di ucraini che “conquistano il pubblico dell’Eurovision”. Questo per il semplice fatto che il gruppo ucraino della Kalush Orchestra – esattamente come tanti altri cantanti e gruppi di altre nazionalità – ha superato le semifinali e si è qualificato per la serata finale di sabato.
Un’enfasi, dunque, forse un po’ troppo anticipata, quasi come se la gara fosse già terminata, già decisa, prima ancora di essere giocata, un po’ come se si titolasse “La Juventus trionfa in Champions League”, per il semplice fatto che i bianconeri abbiano brillantemente superato la prima fase di quel torneo, salvo poi venire sorprendentemente eliminati agli ottavi di finale.
Almeno per scaramanzia, perciò, è una cosa che sarebbe sempre meglio evitare di fare, indipendentemente dalle simpatie politiche per una delle parti in lotta nel conflitto in corso.
L’ESCLUSIONE DELLA CANTANTE UCRAINA
C’è anche da dire che, questo curioso intreccio fra guerra, politica internazionale e scelte artistiche, era iniziato con largo anticipo rispetto all’apertura del Festival. I primi segni espliciti si erano avuti già nel mese di febbraio, con la prima delle clamorose esclusioni dall’Eurovision Song Contest decise quest’anno: quella della cantante ucraina Alina Pas.
La Kalush Orchestra, cioè il gruppo che rappresenta attualmente l’Ucraina al festival di Torino, non aveva infatti vinto le selezioni nazionali per poter partecipare all’Eurofestival. La vincitrice di Vdbir 2022 – in pratica una sorta di Festival di Sanremo, in versione ucraina – era risultata essere una rapper ventinovenne della Transcarpazia: Alina Pas, per l’appunto.
Ecco però che, nel regolamento ucraino per partecipare all’Eurovision Song Contest 2022, è comparsa una clausola che vietava esplicitamente ai cantanti che rappresentano quel paese, di fare esibizioni in Russia, nella Repubblica Autonoma di Crimea, nelle regioni di Donetsk e Lugansk, o in altre aree occupate dal “paese aggressore”, cioè la Russia.
Facendo leva su quella clausola, in Ucraina si è subito scatenata una ricerca spasmodica di possibili “macchie” nel passato di Alina Pas. Una ricerca che ha portato a scoprire un presunto viaggio in Crimea della cantante, avvenuto nel lontano 2015.
Nonostante la rapper abbia cercato di smentire, tanto è bastato per lanciare contro di lei accuse, prima velate e poi più esplicite, di “filoputinismo”, di “tradimento della patria”, che hanno portato la ventinovenne a decidere di gettare la spugna.
Alla metà di febbraio del 2022, Alina Pas ha perciò annunciato ufficialmente la propria auto esclusione dall’Eurofestival, non senza però rilasciare, via social, alcune dichiarazioni fortemente polemiche: “Sono una cittadina ucraina, seguo le leggi dell’Ucraina. Cerco di portare le tradizioni e i valori dell’Ucraina nel mondo…
Sono un’artista, non un politico. Non ho un esercito di PR, manager e avvocati per resistere a tutti gli attacchi e alla pressione, all’hackeraggio dei miei profili social e alle minacce. E non ho un esercito nemmeno per resistere alle parole inaccettabili che le persone stanno usando, senza conoscere la situazione e dimenticando la dignità del popolo ucraino. Non voglio questa guerra virtuale e questo odio. La guerra principale è quella che è arrivata nel mio Paese nel 2014. Non voglio più essere parte di questa sporca storia”.
Dopo quelle parole, la vicenda ha trovato perciò il suo epilogo, con l’esclusione definitiva di Alina Pas e la sua sostituzione immediata, sotto la bandiera ucraina, con la Kalush Orchestra.
LA DISFIDA RUSSO-UCRAINA DEL 2016
Chi pensa però che solo quest’anno la guerra russo-ucraina si giochi – almeno sul piano propagandistico – anche sotto i riflettori dell’Eurofestival, si sbaglia di grosso. Il caso più clamoroso è quello dell’edizione 2016 dell’Eurovision Song Contest.
In quell’anno, infatti, furono proprio Russia e Ucraina a contendersi, testa a testa, la vittoria finale del Festival. La guerra, in Crimea e nella regione del Donbass, si trascinava già da due anni e il palcoscenico dell’Eurovision era un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne e per non richiamare le attenzioni del mondo verso la propria causa.
Perciò, l’Ucraina decise di presentare, in concorso, una canzone il cui testo aveva un fortissimo contenuto politico. In teoria, il regolamento dell’Eurovision vieterebbe di presentare canzoni che parlino di questioni politiche d’attualità, ma gli ucraini, saggiamente, avevano aggirato il problema rivolgendosi al passato.
“1944” – questo il titolo della canzone – era infatti un brano che la cantante ucraina Jamala, aveva dedicato ai suoi avi tatari, i quali, insieme a buona parte della popolazione tatara, furono deportati da Stalin – nel 1944, per l’appunto – per punirli della loro presunta collaborazione con gli occupanti nazisti.
In pratica, quella canzone era un modo chiarissimo di “parlare a suocera perché nuora intenda”, un modo per presentare al pubblico la cattiveria dei russi attuali, capaci di soffocare la libertà di interi popoli, proprio come veniva fatto da altri russi, in quel lontano passato staliniano.
Stranamente, in quella edizione del Festival, il pubblico europeo sembrava non avere apprezzato il messaggio e, un po’ a sorpresa, aveva deciso di premiare proprio la controparte russa, dando il maggior numero di consensi, attraverso il televoto, a Sergei Lazarev, cioè il cantante che si presentava sotto i colori della Federazione Russa.
A consentire a Jamala di prevalere comunque, fu poi il verdetto della giuria interna, forse colpita dall’interpretazione della cantante ucraina – effettivamente, a mio personalissimo avviso, migliore rispetto a quella del russo – o forse intenzionata a sovvertire l’esito del televoto, per poter premiare un brano poco digeribile per Putin. Questo almeno, a leggere i giornali dell’epoca – inclusi quelli italiani – è il sospetto che fu avanzato da molti, dopo il successo ucraino di quell’edizione.
LE CANZONI IN GARA
Prima di concludere, però, forse è il caso di tornare a parlare di quello che dovrebbe essere il tema principale, se non unico, dell’Eurofestival: le canzoni in gara nell’edizione di quest’anno. La prima serata, svoltasi martedì 10 maggio, ha visto la partecipazione di diciassette paesi, di cui dieci sono poi stati selezionati, per partecipare anche alla serata finale.
Fra questi, come dicevamo all’inizio, ci sono gli ucraini della Kalush Orchestra. Al di là delle quotazioni dei bookmaker, il loro pezzo sembra un po’ scimmiottare quel “folk pop” già presentato lo scorso anno sul palco dell’Eurovision dagli allora rappresentanti ucraini: i Go_A , vera rivelazione di quella edizione, insieme ai Maneskin.
È raro che una copia riesca ad essere ai livelli dell’originale, perciò, anche se il brano della Kalush Orchestra non è malaccio, senza l’aiuto delle questioni politiche internazionali, penso che in pochi lo avrebbero indicato tra i più probabili vincitori del Festival e che nessuno avrebbe segnalato la Kalush Orchestra come un gruppo in grado di bissare il buon successo internazionale dei Go_A.
Se poi, è proprio un brano “folk pop” quello che vogliamo premiare – o meglio “folklore e rock and roll”, come dicono loro stessi nel testo della propria canzone – decisamente più convincente è risultato essere quello dei simpatici moldavi Zdob şi Zdub & Advahov Brothers, col loro rock balcanico: “E all’improvviso arriva un pezzo tipo Bregovic”, avrebbero chiosato Elio e le Storie Tese, commentando la loro esibizione.
Belle anche le numerose interpretazioni femminili, con un folto gruppo di brave soliste, che si sono esibite sul palco di Torino: si va dalla saudade della portoghese Maro, all’elegantissima lituana Monika Liu, in pratica una novella Mireille Mathieu in salsa baltica, all’emozionante voce dell’olandese S10. Ed è proprio a quest’ultima, che va – dopo un primo ascolto dei brani – il mio personalissimo tifo.