A cura dell’avvocato Teresa Lopardo*
Nelle considerazioni finali dell’Assemblea 2022 il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si è concentrato su alcune tematiche cruciali che hanno caratterizzato l’economia nazionale ed europea in quest’ultimo anno particolarmente impattata dal conflitto Ucraino e dalle sanzioni alla Russia, paventando il rischio di un drastico abbassamento del Pil italiano con un conseguente innalzamento dei prezzi delle materie prime e gli effetti che tali eventi potranno avere non solo sulle attività delle imprese, ma anche sul reddito delle famiglie.
Condannando in toto la guerra, che “ha innescato una grave crisi umanitaria ed accentuato l’incertezza sulle prospettive economiche”, Visco ha invitato le banche alla prudenza, pur non essendo la loro situazione sostanzialmente negativa, esortando altresì il Governo – in presenza di un aumento progressivo dell’inflazione, il più alto dal 1986 secondo l’Istat – a scongiurare una “vana rincorsa fra prezzi e salari”.
Visco ha ricordato come, in seguito alla guerra, l’economia italiana, insieme a quella tedesca, sia risultata la più colpita dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, tanto da ritenersi ormai svanito lo scenario “favorevole” in termini di ripresa economica supposto dalla stessa Bankitalia a metà di quest’anno, lasciando spazio ad uno scenario intermedio: Pil a più 2,2% per il 2022 e più 1,8% per il 2023, sempre che, a causa del prolungarsi delle ostilità, non ci sia una completa interruzione delle forniture di gas dalla Russia.
Qualora, tutto ciò accadesse, si avrebbero importanti ricadute sul sistema produttivo, sull’occupazione e sul reddito e specificatamente si entrerebbe in recessione, con un Pil più basso di circa 4 punti percentuali quest’anno e di 3 per il 2023 rispetto a quanto ipotizzato all’inizio dell’anno. Molto simili le stime delle maggiori organizzazioni internazionali secondo le quali anche tenendo conto dalle elaborazioni riportate dall’Eurostat, da cui emerge un nuovo peggioramento dell’inflazione con un caro vita dell’eurozona ad un nuovo massimo storico che si attesta intorno all’8%, l’inflazione “si manterrà elevata quest’anno, per poi flettere in modo deciso nel 2023 e tornare successivamente su valori coerenti con la definizione della stabilità monetaria della Bce”, che auspica un incremento del 2% nel medio termine.
Per Visco “non va trascurato il rischio di un aumento delle aspettative di inflazione oltre l’obiettivo di medio termine e dell’avvio di una rincorsa tra prezzi e salari”: la soluzione, secondo il governatore di Bankitalia non è dunque quella di rincorrere gli aumenti dei costi dei beni energetici e delle materie prime attraverso equipollenti aumenti dei salari, piuttosto bisognerà indirizzarsi su “interventi di bilancio di natura temporanea e calibrati con attenzione all’equilibrio delle finanze pubbliche a sostegno del reddito disponibile delle famiglie”.
Il governatore della Banca d’Italia teme l’innesco di un “circolo vizioso”, ma se tale problematica si pone per gli Stati Uniti dove il mercato del lavoro è infuocato ed i salari stanno aumentando notevolmente, nel nostro Paese le pressioni inflazionistiche interne non sembrano, per lo stesso, innescare la corsa all’inseguimento dei salari.
Orbene, in una nazione la cui economia è stata messa a dura prova dai crolli causati dalla crisi pandemica e che ora vede l’affievolirsi della ripresa e nella quale si discute su come tutelare il potere d’acquisto delle famiglie a fronte di un’inarrestabile inflazione, affrontare il tema degli stipendi è impopolare e inevitabilmente soggetto a pesanti critiche da parte delle organizzazioni sindacali, visto che negli ultimi decenni il potere d’acquisto dei salari reali ha subito un’evidente diminuzione.
Secondo i dati Istat, nel 2021 l’indice delle retribuzioni è cresciuto solo dello 0,6% rispetto al 2020 e nei primi mesi del 2022 la retribuzione oraria media è stata solo dello 0,6% più alta rispetto all’anno precedente e comunque insufficiente a contrastare il rincaro dei prezzi. Le misure contro il caro bollette e gli aumenti una tantum dei salari, come il Bonus 200 euro rappresentano un palliativo solo per le famiglie con un reddito più basso.
Sulla stessa scia le organizzazioni sindacali più rappresentative: per la Cgil, il Governo dovrebbe tutelare il reddito delle famiglie italiane attraverso gli aumenti dei salari e delle pensioni e concentrarsi sul contrasto alla precarietà del lavoro che porta la maggioranza dei giovani a lasciare il nostro Paese; per la Uil invece “c’è l’esigenza di sostenere i salari attraverso adeguati aumenti contrattuali e una detassazione degli stessi per far crescere i consumi e la domanda interna, scongiurando il pericolo che l’Italia torni in recessione. In questa direzione è fondamentale anche una riforma fiscale che diminuisca le tasse a lavoratori dipendenti e pensionati”.
L’auspicato blocco salariale prospettato da Visco appare dunque una nota stonata in un generalizzato “sentire” di segno opposto, a maggior ragione alla luce dell’aumento del costo della vita e dell’inflazione, che rischia di creare le maggiori difficoltà – oltre a ciò che resta della ormai estinta “classe media” formata da autonomi e professionisti – proprio ai percettori di stipendi medio-bassi.
Dunque, anche nell’attuale scenario economico, è auspicabile per l’Italia la possibilità di contrastare le incertezze che frenano la produttività rallentando lo sviluppo e aumentano il debito pubblico, attraverso uno strumento definito dallo stesso governatore di Bankitalia come “cruciale” per affrontare tale sfida, innescando quelle riforme dirette a modificare il contesto in cui si svolge l’attività economica: il PNRR.
Per Visco: “aver definito linee chiare per uno sviluppo fondato su tecnologie verdi e digitali e sul sostegno all’attività di ricerca e all’innovazione potrà contribuire al rafforzamento e all’espansione del segmento più dinamico del sistema produttivo”; chiaramente si dovrà lavorare in maniera incisiva e rapida sulla definizione dei provvedimenti legislativi e regolamentari attuativi del PNRR, sulla farraginosità dei procedimenti amministrativi, sulle disfunzioni delle P.A. e della giustizia, ciò al fine di incentivare gli investimenti soprattutto nel Mezzogiorno, nel rispetto delle scadenze concordate con la Commissione europea.
*Studio Viglione-Libretti & Partners