Google avrebbe ostacolato l’interoperabilità nella condivisione dei dati degli utenti con altre piattaforme, in particolare con l’applicazione Weople (gestita da Hoda), operatore attivo in Italia che ha sviluppato una sorta di “banca di investimento” dei dati personali.
Grazie a tale applicazione, infatti, ognuno liberamente può decidere quali informazioni personali rendere pubbliche e depositarle in una sorta di “caveau” gestito da Weople. Ci penserà poi l’applicazione ad “investire” le informazioni personali nel mondo del web, remunerando il cliente in base all’andamento dell’impiego del materiale informativo fornito. Ogni persona, dunque, può depositare ed investire i dati relativi ai propri account social, carte fedeltà o quelli degli account e-commerce. Tutto più difficile, naturalmente, se Google – la principale risorsa detentrice di dati degli utenti di Internet – ostacola la condivisione e il trasferimento delle informazioni su richiesta dei legittimi titolari.
Dal maggio del 2019, infatti, Hoda ha avviato contatti con Google per l’individuazione di meccanismi di interoperabilità in modo tale che l’utente Weople potesse ottenere il trasferimento dei propri dati nel proprio account Weople. L’unica modalità offerta da Google agli utenti per richiedere e ottenere una copia dei loro dati, però, è attraverso Google Takeout, raggiungibile solo direttamente e individualmente da ciascun utente Google e previa autenticazione tramite user e password, una procedura giudicata da Hoda troppo articolata e complessa, che scoraggia l’esercizio da parte degli utenti della portabilità dei dati.
Per questo, dunque, nei giorni scorsi, l’Autorità per la Concorrenza e il mercato ha contestato al celebre motore di ricerca la pratica scorretta, avviando contestualmente un’istruttoria per far luce su un possibile abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.
Google, infatti, detiene una posizione dominante in diversi mercati che consentono di acquisire grandi quantità di dati attraverso i servizi erogati (basti pensare a Gmail o Google Maps) e nel 2021 ha realizzato un fatturato qualcosa come 257,6 miliardi di dollari.
Secondo l’Autorità, il comportamento di Google è in grado di comprimere il diritto alla portabilità dei dati personali, disciplinato dall’articolo 20 del GDPR, e di limitare i benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati. La condotta contestata, nel ragionamento dell’AGCM, determinerebbe una restrizione della concorrenza perché limiterebbe la capacità degli operatori alternativi a Google di sviluppare forme innovative di utilizzo dei dati personali.
L’istituto della portabilità dei dati, come sottolineato dal guardiano della concorrenza, nella misura in cui permette di facilitare la circolazione dei dati e la mobilità degli utenti, offre ad operatori alternativi la possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google, che fondano la propria dominanza sulla creazione di ecosistemi basati sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati, funzionale solo al proprio modello di business.