Proporzionale, premio, alleanze, il Pd, Renzi, Grillo, Berlusconi, etc…
di S.D.C.
La Corte Costituzionale ha deciso sull’Italicum. Dunque, palla al centro.
Ma in attesa di sapere se il Parlamento riuscirà (finalmente) a mettersi d’accordo su qualche correzione per avvicinare il sistema di voto tra Camera e Senato, e considerando lo scenario esterno: che partita sarà?
Riassumiamo la situazione in estrema sintesi, con la premessa che ogni giorno s’incarica di smentire quanto sembrava affidabile in quello precedente.
1) Proporzionale/1. Premio di maggioranza del 40% a parte (impossibile o quasi per la lista, altro discorso se si trattasse di coalizione), ritorna il proporzionale ovvero il sistema elettorale della Prima Repubblica. Il partito che vince esprimerà il Presidente del Consiglio (quantomeno quello incaricato di formare il Governo). Fino a Tangentopoli e le monetine lanciate a Craxi, era la Democrazia Cristiana. Ricordate? E mentre la Dc era il “centro” immobile del sistema politico, gli altri partiti ruotavano attorno sempre in movimento a volte avvicinandosi (penta, quadri, tripartito) a volte allontanandosi (monocolore). Tra governi balneari, astensioni costruttive, fiducie esterne, maggioranze variabili, convergenze parallele. E la vera opposizione decisiva per le sorti di un esecutivo a volte dipendeva più dai rapporti di forza tra le correnti Dc che da quella esterna al partito.
2) Proporzionale/2. In buona sostanza, all’epoca, le alleanze si perfezionavano dopo, in Parlamento (in base ai risultati dei vertici di segreteria). Allearsi del resto sarà inevitabile, a meno che – come detto – un partito ottenga il premio, 340 seggi alla Camera. Pd e M5S, tra alti e bassi, sono stimati intorno al 30 per cento. Il centro-destra pure ma tutto assieme.
3) Alleanze. Primo effetto tangibile: ora anche l’M5S dovrà allearsi, anche in caso di vittoria alle elezioni. Con chi? Molti spingono affinchè ci si faccia avanti con la Lega e Fratelli d’Italia, due forze anti euro, due forze comunque “contro” il sistema. Però nel Movimento non tutti sono d’accordo. In ogni caso non lo si dirà mai prima. Altrimenti addio voti da entrambe le parti. Un’altra alleanza potrà essere Pd-Forza Italia-centristi. Una grosse Koalition alla tedesca. Però anche in questo caso vale quanto appena detto: occorre prudenza. Infine, la rinascita dell’Ulivo con un Bertinotti in salsa Pisapia (peraltro già ufficialmente smentita); oppure, ultimo arrivato, con il neo-centrosinistra dalemiano post-scissione Pd.
4) Appoggio esterno. Chi arriva primo, in assenza di intese, potrebbe anche formare un governo di minoranza. Il Pd (leggi Bersani) ci pensò nel 2013 quando la vittoria fu una non-vittoria. Ma servirebbe la fiducia delle due Camere con il via da parte di forze politiche che poi non entrerebbero nell’esecutivo. In ogni caso, potrebbe ritornare il vecchio “appoggio esterno”.
5) Ingovernabilità. La sentenza della Consulta facilita il voto anticipato, magari a giugno? In teoria sì. In pratica, non è affatto certo. Le forze che reclamano le urne sono in marcia (come pure quelle per la fine naturale della Legislatura). E i due sistemi, quello della Camera e quello del Senato, sono entrambi sostanzialmente proporzionali. Sebbene, come accennato, con alcune differenze non di poco conto (come le soglie di accesso). Il timore, assai forte in assenza di correttivi, è quello di maggioranze diverse e dunque di ingovernabilità. Oltre che di nuove impugnative della Consulta.
6) Chi vince, chi perde. Chi avvantaggia ad oggi la sentenza? Soprattutto Berlusconi, che voleva fortemente il proporzionale per guadagnare tempo (notizie da Strasburgo, ricandidatura) e giocarsi al meglio la partita con i due alleati del centro-destra. Chi ci perde? Grillo: perché con questo sistema dovrà allearsi anche in caso di vittoria. Oppure vincere e non vincere (come Bersani). E Renzi? Il suo Italicum è stato smontato dalla Consulta, perdendo il suo perno: il ballottaggio. Però l’ex premier può dirsi lo stesso soddisfatto: in questo modo si potrebbe andare prima alle urne. Ovvero: rivincita a breve. E con il potere delle candidature ancora nelle sue mani come segretario Pd. Occhio però alle correnti interne che reclamano Congresso anticipato e primarie minacciando scissioni. Le correnti … insomma ancora il potere di veto, come per la DC.
7) Lauricellum. Nell’enfasi del latinorum di manzoniana memoria per indicare le leggi elettorali (Mattarellum, Porcellum, Italicum, etc) e’ il termine utilizzato per indicare la proposta di legge più gettonata per avvicinare le attuali disposizioni per Camera e Senato all’indomani della Consulta, presentata a Montecitorio dall’on. Giuseppe Lauricella (Pd), figlio di Salvatore, già ministro Psi e presidente dell’assemblea regionale siciliana, esponente di spicco della Prima Repubblica.
8) Calendario. Due date cerchiate in rosso. Quella di lunedì prossimo, 13 febbraio, con la convocazione della direzione del Pd che dovrebbe decidere su Congresso, legge elettorale ed eventuale data delle elezioni. E quella del 27 febbraio, previe motivazioni della Consulta, con l’avvio della discussione della legge elettorale in aula della Camera previo passaggio in commissione.
9) Manovra. Nonostante la consegna di non utilizzare il termine, è quella – tutta economica – alla quale il Governo Gentiloni (dimissionario o meno) dovrà mettere mano per rispondere alle richieste di Bruxelles ed evitare una pericolosa procedura d’infrazione. Potrebbe capitare in piena campagna elettorale.
10) Scenario. Non certo ultimo, il dopo-Consulta dovrà per forza di cose misurarsi con gli altri accadimenti interni (terremoto, ricostruzione, malessere socio-economico di ampi strati della popolazione, immigrazione) ed esterni (cambio della guardia Obama-Clinton, elezioni europee un po’ ovunque, crescita dei populismi).
Insomma, palla al centro. Ma è sempre forte il rischio che, per guadagnare di nuovo tempo, si finisca subito con il buttarla di nuovo in tribuna.