A cura di Gianluca Zito
Domenica 2 ottobre il Brasile è chiamato alle urne per rinnovare il proprio presidente della Repubblica. Tra gli 11 candidati, tra cui 4 donne, saranno secondo i sondaggi in due a contendersi la vittoria: l’ultracattolico e conservatore Jair Bolsonaro e l’ex mandatario di stampo socialista Luiz Inácio Lula da Silva.
I programmi elettorali e la centralità dell’Amazzonia.
Nonostante sia comune per la storia del Brasile, è sicuramente difficile trovare nella storia del Paese un appuntamento elettorale così polarizzato. Da una parte c’è, infatti, il presidente uscente, di stampo fortemente liberale in ambito economico e conservatore in ambito di diritti civili, mentre dall’altra un ex presidente che ha fatto dell’assistenzialismo e del progressismo il marchio del suo governo.
Questa polarizzazione si riflette anche nei programmi di entrambi i candidati. In ambito economico, Bolsonaro tende maggiormente la mano agli imprenditori rurali dell’interno del Paese, promettendo maggiori infrastrutture e aiuti all’occupazione. Lula cavalca invece i successi del suo passato promettendo l’aumento del salario minimo e l’ampliamento del programma Bolsa Familia a favore delle fasce più svantaggiate della popolazione.
Anche sull’Amazzonia, grande protagonista di queste elezioni, si declinano le stesse proposte dei due candidati. L’attuale presidente ha dimostrato in quattro anni un’idea ben chiara sull’importanza di questo spazio, avendolo lasciato in mano al saccheggio e alla distruzione che ha messo in pericolo la sua stessa integrità.
Lula, invece, pur sapendo di non vincere il consenso popolare nelle zone interne, punta piuttosto ad aumentare sempre di più la sua protezione. Nel suo programma promette infatti di affrontare la deforestazione e le miniere illegali, continuando l’opera di salvaguardia dell’ecosistema e di chi lo vive, anche attraverso la costituzione di zone protette controllate dalle popolazioni indigene che vivono al suo interno.
Le relazioni internazionali
Sul piano delle relazioni internazionali, rispetto a quelle nazionali, è ancor più netto il già grande divario che esiste, secondo i sondaggi, tra i due candidati.
Dopo quattro anni di governo Bolsonaro il Paese si trova infatti sempre più solo nello scacchiere internazionale. Dal canto suo, invece, Lula ha il favore e il sostegno dei tanti governi della regione che negli ultimi anni sono virati verso posizioni più progressiste.
Lo stesso vale anche per gli Stati Uniti, storicamente ostili a esperienze di stampo socialista nel continente, che secondo la Reuters sarebbero pronti ad accettare immediatamente la vittoria di Lula se questa dovesse ritenersi tale al conto dei voti.
Il passato di Lula e Bolsonaro
Essendo stati entrambi i candidati di punta ex presidenti, nella campagna elettorale c’è stato molto spazio dedicato alle azioni passate di entrambi i leader. Lula si è concentrato più sugli attacchi all’operato dell’attuale mandatario, sottolineando la gestione tardiva e negazionista della pandemia da Covid-19, costata al Paese quasi 686 mila morti.
Dal suo canto le accuse di Bolsonaro verso Lula riguardano faccende di ben altra natura. Nonostante il ricordo dei brasiliani sia alquanto positivo del suo operato (basti pensare che a inizio secolo il Brasile era una tra le economie più promettenti al mondo), non sono pochi gli scheletri nell’armadio del leader del Partito dei lavoratori.
A pochi mesi dalle elezioni del 2018, infatti, l’ex mandatario venne giustiziato e incarcerato per due casi di corruzione legati alla maxi-indagine conosciuta sotto il nome di Lava Jato. Da allora visse per un anno e mezzo in carcere prima di essere rilasciato e poi ripulito di tutte le accuse sulla base di un pronunciamento del Tribunale Federale. Nel frattempo, Bolsonaro ne aveva approfittato cavalcando l’onda di indignazione proclamandosi come nuovo volto nella lotta alla corruzione sistemica nel Paese.
Quello che ne seguì screditò però la narrazione dell’attuale mandatario. La corte che condannò Lula, presieduta dal giudice Sérgio Moro, divenuto poi ministro della Giustizia e strumento della propaganda di Bolsonaro, venne infatti considerata “incompetente”.
A pesare sulla decisione le intercettazioni pubblicate dal The Intercept del cellulare di Moro da cui appariva la volontà del giudice di bloccare la candidatura di Lula alle elezioni. Un chiaro segnale di come lo stesso non avrebbe dunque agito sulla base di chiare evidenze giuridiche bensì di volontà e pressioni politiche.
Sondaggi e timori
I sondaggi su queste elezioni sembrano quindi essere cambiati di poco rispetto a quattro anni fa, prima che Lula venisse condannato a pochi mesi dalle elezioni e il Pt si trovasse a dover condurre la campagna elettorale con il vice Fernando Haddad. Bolsonaro, scrive Datafolha, si manterrebbe sul 33% delle preferenze mentre il suo diretto avversario si attesterebbe intorno al 47%.
Nell’ultima di una serie di lettere che in questi anni Lula si è scambiato con Papa Francesco, il leader brasiliano si dice intimorito dalla possibilità di non vincere al primo turno. La paura è che dal 2 ottobre non esca già vincitore e che il clima fortemente polarizzato e di tensione e violenza di questi giorni si accentui ancora di più.
Alcuni sostenitori del guerreiro, tra i più ottimisti, lo danno vincitore al primo turno, sulla base di quelle preferenze che giorno dopo giorno sono continuate a crescere fino a quel 47% dell’ultimo sondaggio. Ma il timore che i sostenitori di Bolsonaro possano contestare i risultati è reale.
Dopotutto, l’attuale presidente si è già esposto in diverse occasioni a favore dell’uso e possesso di armi da fuoco. Inoltre, il fatto che Bolsonaro sia stato membro dell’Esercito brasiliano non fa che aumentare il timore del ritorno di un passato che, nel ricordo del popolo brasiliano, è ancora fortemente vivido.