Le molte trasmissioni che trattano cronaca nera vedono espandere la loro platea di spettatori, come anche i moltissimi contenuti che ci permettono di conoscere la vita e le vicende di persone che ne fanno parte. Cosa ci spinge a conoscere le modalità con cui agiscono gli assassini, quali meccanismi si celano dietro al fatto di voler entrare in contatto con delle storie che turbano e spaventano?
Nel corso degli anni l’approccio con cui i fruitori di questo genere si sono avvicinati alla materia ha subito dei cambiamenti importanti. Siamo passati da un approccio che possiamo definire più passivo, ad uno maggiormente attivo, in cui l’utente si interfaccia in un modo più completo con la vicenda in questione.
Abbiamo chiesto un parere esperto alla dottoressa Flaminia Bolzan, psicologa Clinica e Forense, Criminologa, autrice del libro “Turchese” scrive per Leggo ed interviene come esperta in molti programmi televisivi.
Come è cambiato il rapporto delle persone con i fatti di cronaca nera? Prima veniva solo proposta dai giornali, ora ci sono film, podcast ed approfondimenti che stimolano l’utente ad entrare nella storia in modo più dettagliato.
Si è passati a mio avviso dalla semplice “informazione”, ad un’analisi più dettagliata e attenta di ogni fatto. La scelta di approfondire un caso di cronaca attraverso l’audiovisivo, specialmente quando questa ricade sulla realizzazione di un documentario o di un podcast, include spesso la partecipazione alla narrazione di esperti che letteralmente illustrano allo spettatore le tecniche e le metodologie che permettono di coadiuvare l’indagine tradizionale e ciò fa si che ci si riesca ad immedesimare nel lavoro di chi questa indagine deve portarla avanti. In più va detto che da sempre, sia nel reale, sia per ciò che attiene l’alveo della letteratura, il giallo e il noir hanno un grande appeal sulle persone, perciò ritengo che queste nuove forme di narrazione facciano anche molto leva su un qualcosa che esiste da parecchio.
Una serie TV che sta riscuotendo molto successo è quella relativa a Jeffrey Dahmer, le chiedo un parere da criminologa, riguardo al personaggio.
Il mio parere ovviamente è relativo al personaggio “reale”, non alla rappresentazione generata dalla serie televisiva. Le dico questo perché Dahmer è stato un serial killer la cui storia ci ha permesso interfacciarci con il lato oscuro della provincia americana e con le motivazioni che spingono un soggetto a compiere agiti tali da far sì che gli si attribuisca l’appellativo di “mostro”.
La serie tv è ben realizzata, un po’ lenta forse, ma non permette pienamente al telespettatore di riflettere e comprendere a pieno gli snodi della vita di Dahmer attraverso cui si può iniziare ad operare una “classificazione” dello stesso sul piano scientifico.
Jeffrey Dahmer, così come Bundy o altri è un assassino seriale e non un “fenomeno”. Ad ogni modo riconosco a Netflix il merito di aver contribuito a far conoscere ai più una storia di cui magari erano più che altro gli addetti ai lavori ad aver contezza.
Ha dei progetti per il futuro?
Continuo a svolgere il mio lavoro di psicologa e di criminologa. Con entusiasmo porto avanti la mia rubrica sul quotidiano “Leggo” in cui cerco, con leggerezza, di affrontare temi spinosi sulle relazioni interpersonali. In questo senso mi piace che i lettori possano sentirsi proprio come in un “salotto” e magari condividere con me dubbi e pensieri. Per il resto mi sto concedendo un pò di relax, sarò impegnata in diversi convegni, ma cerco di dedicare anche un pò di tempo all’altra mia grande passione che è lo sport.