Silvio Berlusconi è stato un innovatore in ogni settore nel quale il suo genio imprenditoriale si è cimentato, dall’edilizia, alla televisione commerciale, all’editoria, alla finanza fino alla politica. Proprio in quest’ambito, mentre gli echi delle celebrazioni per la sua recente dipartita non si sono ancora spenti, si aprono le maggiori incognite future.
Forza Italia, creata dal Cavaliere nel giro di pochi mesi grazie al supporto iniziale del management di Publitalia, colmò il vuoto causato dalla decimazione giudiziaria operata a senso unico dal Pool di Milano nel biennio 1992-93 nei confronti del Pentapartito, che aveva spianato la strada, o almeno così sembrava, a una facile presa del potere da parte della cosiddetta “gioiosa macchina da guerra”, costituita dal PDS di Occhetto e dall’alleanza progressista.
Il nuovo partito di Berlusconi, oltre a dare un nuovo riferimento a democristiani conservatori, socialisti, socialdemocratici e liberali, arricchì la nuova proposta e offerta politica con il messaggio dirompente della “rivoluzione liberale”, o meglio liberista nel senso che la intendeva il Cavaliere, cavalcando l’onda del “meno Stato e più mercato” di thatcheriana e reaganiana memoria, molto in voga in quegli anni e che, dopo decenni e decenni di statalismo imperante, già da un quindicennio stava montando in gran parte del Nord industriale, come già Craxi e il suo Psi avevano compreso fin dalla fine degli anni ’70.
Dal punto di vista strettamente politico-elettorale, la più grande intuizione di Berlusconi fu quella di inventare dal nulla il centrodestra italiano con l’ingresso del CCD-CDU, lo “sdoganamento” dell’Msi-An e l’alleanza con la Lega. Questa coalizione in un trentennio, tra alti, bassi e assestamenti progressivi, ha assunto come la DC dei tempi migliori una rappresentanza interclassista dei ceti produttivi di tutta Nazione e ha dato voce alla borghesia impoverita dalle degenerazioni della turbo-globalizzazione.
Inoltre, nonostante la mutazione interna dei rapporti di forza tra le sue diverse componenti, con il passare del tempo si è verificata una sostanziale uniformizzazione di un comune sentire del blocco sociale ed elettorale del centrodestra, che ha influenzato positivamente i diversi partiti della coalizione, che oggi appare molto più coesa rispetto ai primi anni, in cui prima Bossi e poi Fini e Casini, facevano da contraltare e da freno alle iniziative berlusconiane.
Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, anche a causa della continua persecuzione giudiziaria nei confronti di Berlusconi, il partito forzista ha perso la sua carica innovativa e, nonostante possa ancora vantare un ragguardevole 8-9% di consensi, si è sempre più caratterizzato come un vero e proprio partito personale, costruito e modellato a immagine e somiglianza del suo leader e fondatore. Pertanto, la sua scomparsa pone dei giganteschi interrogativi non solo sugli sviluppi futuri e sulla capacità di resistenza e rinnovamento di Forza Italia, ma anche su quali implicazioni avrà per la stabilità del Governo Meloni di cui fa parte.
Innanzitutto, Forza Italia per tenere insieme le sue componenti, dovrà darsi e riscoprire le regole interne di convivenza tipiche di un partito tradizionale, per giungere ordinatamente al congresso che dovrà stabilire l’organigramma, la dirigenza e i rapporti di forza interni, tra maggioranza e minoranza. Quest’orizzonte si esplicherà, probabilmente, dopo le elezioni europee del giugno 2024 ma fino ad allora l’imperativo per il vicepremier Tajani e per Giorgia Meloni sarà mantenere il più possibile intatto lo status quo per mantenere stabile, coesa e produttiva l’azione di governo.
A seconda dei risultati delle Europee si apriranno due strade per FI: se riuscirà a superare la soglia di sbarramento del 4%, che forse sarà abbassata al 3, potrà mantenere un importante spazio politico di centro all’interno dell’alleanza di governo, altrimenti, vista anche la continua evoluzione moderata e liberalconservatrice di Fratelli d’Italia, potrebbe dare vita prima a una federazione e poi dare corpo al sogno berlusconiano del Partito Repubblicano o Partito Conservatore della Nazione, che tenga insieme in un unico grande contenitore le diverse anime del centrodestra, da quella nazionalista, a quella cattolico-liberale a quella realmente socialdemocratica.
Un’operazione che stavolta, a differenza del tentativo fallito con l’esperimento del Popolo delle Libertà nel 2009-11, a causa dell’ostilità di Fini e delle manovre quirinalizie, potrebbe avere successo e indurre a un definitivo approdo del sistema politico e istituzionale italiano a un bipolarismo maturo, anche grazie al progetto in cantiere della forma di governo del premierato forte.
Quanto alle mire renzian-calendiane verso il bacino di voti di Forza Italia, è estremamente improbabile che gli elettori berlusconiani possano scegliere di virare verso un cartello elettorale “pseudo-macroniano” dalle scarse prospettive di crescita, per giunta caratterizzato dall’ambiguità sul fronte delle alleanze e dalla sostanziale acquiescenza verso i diktat Ue a trazione franco-tedesca, sia sulle proposte di riforma del nuovo Patto di Stabilità che sulle ingannevoli e pericolose politiche green dall’inquietante prospettiva cinese.
Molto più probabile, invece, che il cosiddetto Terzo Polo possa attrarre esponenti ed elettori moderati del PD, in fuga dalla deriva estremista della Schlein, sempre più protesa verso l’abbraccio mortale del M5S. Ma questa è tutta un’altra storia.