Già nel 2005 e nel 2009, Francia e Regno Unito avevano dimostrato, dati alla mano, che la categoria professionale maggiormente esposta al rischio suicidario era quella dei docenti. Un dato sorprendente se si pensa ai contestuali stereotipi che gravano sugli insegnanti e di cui si nutre l’opinione pubblica (“lavorano mezza giornata e fruiscono di tre mesi di vacanza all’anno”).
L’usura psicofisica tra gli insegnanti, come dimostra la letteratura scientifica, è una questione universale non legata al diverso sistema scolastico adottato dai singoli Paesi. Tuttavia, questo grave allarme non ha suscitato particolari reazioni tra gli stessi docenti fin quando i recenti suicidi di un maestro di 57 anni in Francia e una giovane insegnante di scuola primaria della Corea del Sud hanno risvegliato dal torpore l’intera categoria, portando in piazza la protesta per rivendicare garanzie per il lavoro. La risposta delle istituzioni dei due Paesi non si è fatta attendere, andando finalmente incontro alle richieste dei docenti.
Ma in Italia cosa succede? Purtroppo, non sono disponibili dati nazionali sui suicidi stratificati per professione. Tuttavia, è possibile raccogliere elementi utili a fornire una dimensione del fenomeno suicidario italiano tra i docenti, ricorrendo agli articoli di cronaca dei quotidiani locali e nazionali.
Prima di analizzare i risultati, occorre fornire qualche avvertenza per l’interpretazione corretta degli stessi. Per precise ragioni evidenziate nel rapporto dell’Istat (“non tutti i suicidi vengono alla luce perché spesso la famiglia del defunto vuole evitare di divulgare il fatto alla comunità”), i dati ufficiali relativi ai suicidi risultano essere ampiamente sottostimati. Altri spunti di lettura interessanti ci vengono dalla letteratura scientifica nazionale e internazionale (soprattutto USA) ove si rileva che l’uomo si suicida quattro volte più della donna, mentre la donna tenta il suicidio quattro volte più dell’uomo. Quest’ultimo elemento statistico assume particolare significato in una categoria costituita – in Italia – per l’83% da donne.
La presente ricerca non si è invece occupata del conteggio dei “tentati suicidi” perché, quasi sempre, non sono ritenuti “notiziabili” dagli organi di stampa, né meritevoli di un articolo di giornale. Pertanto, il presente metodo di ricerca qui adottato risulterebbe del tutto inadatto.
Per effettuare la ricerca sul web nel nostro Paese – nel decennio 2014/2023 – ci si è avvalsi delle seguenti parole chiave: 1) suicidio; 2) insegnante; 3) anno in cui la ricerca è svolta. Per ciascun evento occorso, sono stati raccolti specifici dati: luogo di residenza (Nord, Centro, Sud e Isole); genere; età; fase di attività o quiescenza del lavoratore; livello di insegnamento (infanzia, primaria, superiore I e II grado); modalità di attuazione del suicidio.
Risultati dell’indagine
Nell’arco del decennio 2014-2023 sono stati osservati 100 suicidi con una media esatta di 10 suicidi all’anno (uno al mese se escludiamo luglio e agosto). Un picco anomalo (circa un quarto del totale degli eventi) è stato registrato nel 2017 senza alcuna spiegazione apparente, mentre negli altri anni si sono avuti dai 5 agli 11 suicidi per anno. La ripartizione geografica degli eventi vede in prima posizione il Sud e Isole (58), seguita dal Nord (23) e, in terza battuta, dal Centro (19).
La suddivisione in base al genere vede 42 uomini e 58 donne nonostante le donne costituiscano l’83% del totale corpo docente. I docenti stratificati in base alla attività lavorativa in essere (84) sovrastano quelli oramai in pensione (16). L’età media dei casi osservati è di 51 anni, ma questa scende sensibilmente (48 anni) se viene calcolata tra i soli docenti ancora in attività. Per quanto concerne il livello d’insegnamento, i casi di suicidio si dividono con la seguente frequenza: 12 Infanzia; 29 Primaria; 25 Superiore I grado; 34 Superiore II grado
Evidenze emerse
- La collocazione geografica degli eventi osservati vede una netta prevalenza al Sud e Isole (58% vs 23% del Nord e 19% del Centro) senza un’apparente spiegazione. Questo dato è confutato dalla letteratura internazionale che considera a maggior rischio di usura psicofisica le helping profession che operano nelle grandi realtà urbane rispetto a quelle di provincia e rurali. Il fenomeno potrebbe semplicemente spiegarsi col diverso rilievo che i media locali danno al suicidio di una persona in una realtà di provincia, rispetto a un grosso centro urbano che garantisce l’anonimato anche in caso di suicidio.
- Mentre gli uomini – questi i dati della letteratura scientifica internazionale – tendono a suicidarsi circa 4 volte più delle donne e in proporzione all’invecchiamento (13,2 x 100.000 abitanti nella fascia di età 45-64 anni e 20,1 oltre i 64 anni), le donne presentano oggi una inversione di tendenza in cui la fascia oltre i 64 anni viene superata per la prima volta da quella 45-64 (4,2 vs. 3,8). In altre parole, la donna tende a suicidarsi, rispetto a ieri, soprattutto in fase di attività lavorativa. Sono forse gli effetti di una riforma previdenziale frettolosa, fatta “al buio” (cioè senza aver prima valutato la salute/malattie professionali della categoria) ed entrata in vigore nel 2012 ma, ancora oggi, in discussione e rivisitazione?
- Francia (2005) e Regno Unito (2009 e 2012) sono i due soli Paesi che hanno valutato il rischio suicidario degli insegnanti rilevando i livelli più alti rispetto a tutte le altre categorie professionali e alla popolazione generale. L’Italia si è finora addirittura rifiutata (attraverso l’Ufficio III del Ministero Economie e Finanze) di fornire a università e sindacati o, in alternativa, di processare in proprio i dati relativi ai 20 anni di attività delle CMV regionali del MEF (2004-2023) per riconoscere ufficialmente le malattie che causano le inidoneità/inabilità all’insegnamento. Queste ultime, secondo le ricerche oggi disponibili, presentano diagnosi psichiatriche nell’80% dei casi e potrebbero spiegare, almeno in parte, l’alto tasso suicidario contro cui occorre attuare la prevenzione di legge (DL 81 art.28) ancora oggi inapplicata se non addirittura ignorata.
- Non vi è pertanto dubbio che, anche in Italia, vi possano essere dati analoghi a Francia e Regno Unito proprio perché l’alta usura psicofisica è da attribuirsi alla peculiarità della professione (particolare ed esclusiva tipologia di rapporto con l’utenza) e non al diverso sistema scolastico adottato dal Paese in esame o al differente livello scolastico in cui il docente esercita. I dati a disposizione sulle inidoneità all’insegnamento per motivi di salute fanno inoltre rilevare che le diagnosi psichiatriche sono cinque volte più frequenti delle disfonie. Ciò premesso, e in attesa di conoscere la situazione reale, possiamo affermare che l’alta percentuale (83%) di presenza femminile tra i docenti è di per sé un elemento limitante i suicidi. Qualora avessimo infatti un corpo docente tutto maschile, avremmo la quadruplicazione del dato.
- Nel 2008 in Italia esce il DL 81 che, all’art. 28, prevede la tutela della salute per le helping profession (prima fra tutte quella dei docenti) con il monitoraggio e la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato valutando obbligatoriamente anche genere ed età del lavoratore. Sembra scritto apposta per il corpo docente di cui l’età media è 50,4 anni e il genere è, come detto, femminile all’83%. Lo stesso decreto, mai finanziato, resta inapplicato fino a oggi e, nonostante tutti i proclami, viene confermata la riforma previdenziale (Monti-Fornero) completamente “al buio”, cioè senza valutazione alcuna della salute professionale della categoria, dell’invecchiamento anagrafico, dell’anzianità di servizio e delle malattie professionali non ancora identificate e riconosciute ufficialmente.
- Particolare attenzione va posta su due elementi che – come detto – interagiscono strettamente tra loro: genere ed età della categoria professionale. Tra i docenti sono molto significativi poiché l’83% dei docenti è donna e l’età media raggiunge i 50,4 anni di età. Quanto esposto al precedente punto 2 permette di comprendere come la preponderante componente femminile della categoria, funge da elemento limitante il fenomeno suicidario, quasi esorcizzando e contraddicendo gli elevati tassi rilevati in Francia e nel Regno Unito. L’età media dello studio inoltre (51 anni se considerati anche gli insegnanti in quiescenza e 48 se inclusi solamente quelli in fase lavorativa) coincide tra l’altro con l’età media della categoria (50,4 anni). Nella donna, tale età viene a coincidere con un periodo delicato e la sua esposizione al rischio depressivo – rispetto alla fase fertile – si quintuplica per tutto il periodo perimenopausale. Tale periodo di massima esposizione della donna ad ansia/depressione aumenta il divario con l’uomo portandolo a 12,5:1. Questa asimmetria tra i due generi non è mai stata considerata, né valutata, neanche in sede di riforma previdenziale a dispetto dell’art 28 del DL 81/08.
- Episodi suicidari si verificano in tutti i livelli d’insegnamento anche se con diversa distribuzione. Nella primaria, Secondaria di I e II grado si notano differenze anche se non statisticamente significative. Una percentuale sensibilmente inferiore si rileva nella Scuola dell’Infanzia (12%) che però è imputabile al minor numero di insegnanti a questo livello e l’età media più ridotta rispetto alle colleghe dei livelli superiori. Se ne trae il messaggio che nessuna categoria è risparmiata dal fenomeno suicidario, come d’altronde hanno dimostrato studi nazionali, che rilevano la stessa incidenza di patologie psichiatriche in tutti i livelli d’insegnamento. La responsabilità di queste conseguenze è – lo ribadiamo – dovuta alla professione e non al sistema scolastico o al livello di insegnamento in cui si esercita.
- Come ci si può aspettare, la scelta della modalità suicidaria varia sensibilmente tra i due generi. La precipitazione/defenestrazione è la più frequentemente scelta e, quasi esclusivamente, dalle donne (40F vs 2M). A seguire l’impiccagione/soffocamento dove prevalgono nettamente gli uomini (25M vs 1F). A buona distanza seguono l’annegamento (7F vs 1M); il ricorso a un’arma da fuoco è unicamente maschile (8M); l’avvelenamento da farmaci (6F) risulta a esclusivo appannaggio delle donne. Chiudono la graduatoria il gettarsi sotto il treno (4F); il ricorso ad arma bianca (3M); il darsi fuoco (2M). Merita una menzione a parte la recente modalità adottata da due insegnanti – nel 2022 e 2023 – che hanno acquistato su internet il “kit per il suicidio”, mettendo in essere l’insano gesto. Tale modalità sembra far passare il triste e nefasto messaggio che la scelta suicidaria è approvata istituzionalmente, infine validata se non addirittura suggerita.
Riflessioni e contromisure
Seppure questa ricerca attesti una verità sconvolgente (poiché scalza falsi e altrettanto comodi stereotipi ben radicati nell’opinione pubblica) e al contempo preoccupante (il suicidio di quasi un insegnante al mese), non possiamo affermare con certezza se i motivi dei gesti estremi siano da attribuire a una causa professionale o ad altra dimensione come un’anamnesi familiare positiva per disturbi psichiatrici, oppure eventi maggiori come lutti, separazioni, malattie o altro. Dovremmo infatti disporre di molti più dati, rispetto a quei pochi in nostro possesso e, soprattutto, di studi di confronto e controllo con altre categorie professionali appartenenti, preferibilmente, alle helping profession.
In Italia non abbiamo nulla di tutto ciò, ma vengono in nostro aiuto gli studi francesi e inglesi (punto 3) nonché sud-Coreani che non lasciano dubbi di sorta: “Tra il 2018 e giugno 2022 sono 100 gli insegnanti che hanno scelto di togliersi la vita; Un sondaggio congiunto realizzato ad Agosto dal KTU e il Green Hospital di Seoul, mostra che un insegnante su sei sperimenta pensieri suicidi; sono le insegnanti donne a riportare sintomi più elevati nel 40,1% rispetto al 28,9% dei loro colleghi uomini”. Lo stesso dicasi dei pochi studi italiani a disposizione (Milano, Torino, Verona) circa le diagnosi – oggi all’80% psichiatriche – poste dai Collegi Medici di Verifica nelle inidoneità all’insegnamento che determinano un secondo importante campanello d’allarme.
Non è un caso se dal 2005 a oggi, il tema è stato oggetto di numerose interrogazioni parlamentari di maggioranza e opposizione (Pepe 2005, Sbrollini 2009, Valditara 2011, Vacciano 2016) che però non hanno sortito alcun effetto. Tuttavia, oggi, le cose potrebbero assumere una piega diversa. Infatti, colui che presentò l’interrogazione al Senato in data 13.01.11, riveste attualmente la guida del MIM. Già nel 2011 Valditara, tra le altre cose, chiedeva infatti “che venissero attivate ricerche epidemiologiche al fine di accertare urgentemente l’incidenza delle patologie psichiatriche, il consumo di psicofarmaci, il tasso suicidario della categoria come avviene in Francia”.
A un anno dal suo insediamento, il titolare del dicastero del MIM ha indubbiamente dedicato la sua attenzione a molti aspetti della scuola, ma ha tralasciato la “salute professionale della categoria docente” che nel suo Atto-Senato del 2011 rivestiva priorità assoluta. L’importanza della questione è anche dovuta all’attuale rivisitazione della riforma delle pensioni che non può procedere “al buio” (vedi punto 5) senza valutare la salute professionale della categoria docente.
Nessuna riforma previdenziale può essere affrontata prima che vengano studiate e riconosciute le malattie professionali. Tuttavia, all’alba del terzo millennio, si crede ancora che le disfonie siano la sola e prevalente causa di inidoneità all’insegnamento, quando le diagnosi psichiatriche sono cinque volte più numerose. Per vent’anni (2004-2023) i Collegi Medici di Verifica del MEF (Ufficio III) hanno custodito gelosamente i dati senza elaborarli e rifiutandosi di darli a Università e Sindacati. Oggi la competenza è passata all’Inps, ma il ministro Valditara dovrebbe richiedere tutti i dati dei vent’anni al MEF per poter trarre utili elementi circa la salute professionale della categoria. Banalmente si chiede al ministro di dare le risposte alle domande contenute nella sua interrogazione parlamentare al Senato del 13 gennaio 2011.
A chiusura delle presenti riflessioni, mi chiedo se le parti sociali possiedono un ruolo nell’esercitare la tutela della salute degli insegnanti, ed eventualmente quale. In Francia e nella Corea del Sud, nel presente anno, è bastato un solo suicidio per riempire le piazze e ottenere condizioni lavorative migliori. Noi siamo a quota 100 in dieci anni ma facciamo ancora finta di niente e assistiamo passivamente nonostante la strage in atto.
Proposte pratiche per il dicastero del MIM. Nel dicembre 2022, il ministro del MIM ha costituito la “Commissione Autorevolezza e rispetto” a tutela degli insegnanti. In tale consesso, Valditara mi ha invitato a suggerire degli interventi di seguito riassunti per riconoscere, individuare, affrontare, curare e prevenire le malattie professionali dei docenti. Troveranno ascolto queste proposte? Ne sarà fatto buon uso? La speranza non viene meno.
- Ricerca nazionale attraverso uno studio epidemiologico retrospettivo (ventennale) sulla base dei dati delle visite di inidoneità/inabilità nei Collegi Medici di Verifica (CMV). I suddetti dati sono in possesso dell’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze (MEF) cui andranno richiesti. L’obiettivo è anche quello di abbattere gli stereotipi dell’Opinione Pubblica sulla categoria attraverso la diffusione annuale delle statistiche rilevate sulla salute professionale.
- Formazione docenti e DS, sui rischi professionali per la salute, sulla prevenzione (in modo da favorire anche l’uniformità dei DVR tra le scuole), sugli strumenti a tutela dei docenti (es. ricorso all’accertamento medico in CMV).
- Formazione dirigenti scolastici (DS): oltre alla formazione rivolta ai docenti, i DS saranno appositamente formati circa le loro incombenze medico-legali con particolare riguardo all’accertamento medico d’ufficio, la stesura della relazione ex art.15 DPR 461/01 e il ricorso alla sospensione cautelare ex art.6 DPR 171/11.
- Creazione di uno “Sportello medico-legale” di supporto (USR o MIM) ai DS per affrontare le tante incombenze medico-legali.
- Restituire ai DS la piena responsabilità nella tutela dell’utenza evitando il problematico ingresso/interferenza della Autorità Giudiziaria nella scuola (nido, infanzia, primaria) nei casi di Presunti Maltrattamenti a Scuola (30; 31).
- Rivisitazione politiche previdenziali in base a condizione di salute professionale docenti.
NB I punti I, II, III, IV e V sono potenzialmente operativi e realizzabili entro un tempo di 12 mesi.