Non si placa l’agitazione di alcuni magistrati rispetto all’annunciata introduzione dei test psico attitudinali cui saranno sottoposti i neoassunti in magistratura. Non mancano reazioni dal tono polemico, quale quella del Procuratore Capo di Napoli, Nicola Gratteri, che auspica l’introduzione di tale test, e perché no del test alcolemico e narcotest, per tutti coloro che hanno cariche pubbliche, componenti del Parlamento compresi.
Una reazione forte e piccata che va registrata nella legittima critica che ognuno può fare nei confronti di un provvedimento di legge ma che va anche parametrata all’effettività della norma. Il concorso in magistratura è un concorso selettivo, tant’è che di recente si registrano abbandoni in massa durante le prove ed un numero di idonei non adeguato alla copertura dei posti. Questo chiarisce che i selezionati idonei hanno una preparazione di base solida ed adatta alla altissima funzione e completano poi ancora la loro formazione con un tirocinio di ulteriori diciotto mesi.
In un tale percorso il test illustrato dal Ministro Nordio è un passaggio ulteriore che non si pone in nessun modo come forma di controllo o contingentamento, visto poi che la norma lo affida, come ogni attività di controllo sulla magistratura, ad un organo indipendente di rilevanza costituzionale come il Csm.
Le reazioni dei magistrati non sono una novità ad ogni tentativo di aggiornare le norme alla realtà moderna. Si registrano resistenze o polemiche, ma la magistratura deve accettare le modifiche che il Parlamento approva, perché, come tutti i cittadini italiani, lei per prima è soggetta alla legge. Le riforme vanno condivise in una società democratica, ma negli ultimi trenta anni si è assistito al gioco di tirare il pallone in tribuna da parte di chi non vuole modificare lo status quo, con l’effetto che la giustizia italiana ha raggiunto livelli non adeguati alla propria storia giuridica millenaria.
Va auspicato un serio mutamento dei rapporti tra politica e magistratura, anche perché incombono riforme necessarie – come la separazione delle carriere – ben più incisive di qualche crocetta su un test – che devono essere operate, condivise ed applicate per mettere mano ad una giustizia che sarà ancora più giusta quando coniugherà efficienza, velocità ed autorevolezza.
La catena di suicidi impressionante che si registra nelle carceri da inizio anno ci restituisce storie di carcerazione di detenuti disabili o di detenuti in attesa di giudizio forse evitabili con un numero di magistrati superiore, personale, mezzi e strutture adeguate, insomma con una risposta di giustizia celere ed un’esecuzione delle sentenze effettiva e celere: chi sbaglia paga, ma subito e nel modo più intelligente e proficuo per la collettività.
Oggi non è così, sia nel processo civile che in quello penale. Nel processo civile se non si accetta la negoziazione al ribasso delle proprie istanze, dei rimedi della mediazione anteposti al processo civile (la transazione è un do ut des che non c’entra con l’assoluto del diritto soggettivo), un diritto può essere riconosciuto o negato dopo un paio di lustri in via definitiva (i rinvii delle prime udienze dei procedimenti con la riforma Cartabia scivolano in alcune sedi fino ad un anno in avanti rispetto alla data indicata in citazione, con buona pace delle promesse all’Europa per i fondi PNRR).
Nel processo penale va ancora peggio, si registra un’accelerazione sulla giustizia sommaria con tagli delle liste testimoniali in dibattimento, istruttorie predibattimentali in cui la difesa è un coinvitato di sale che procedono verso il giudizio anche in presenza di elementi oggettivi che dovrebbero portare all’archiviazione e la nuova udienza predibattimentale nel giudizio monocratico che ha preso i ritmi dell’udienza preliminare, già prevista per processi collegiali, di fatto uno smistamento per riti alternativi.
Censura a parte meriterebbero i gradi successivi di giudizio, in cui un reticolo di decadenze, nullità ed inammissibilità, iperbole digitali, sembra lì messo apposta, non nell’interesse della giustizia, ma solo allo scopo di esaltare i riti alternativi e disincentivare il giudizio ordinario in primo grado, in appello o in Cassazione.
Mancano magistrati, mancano mezzi, manca personale ausiliario, non è il test psicoattitudinale il problema e le critiche ai tentativi di migliorare la situazione senza proposte alternative concrete non è utile a nessuno, meno che mai a chi opera tutti i giorni nei tribunali in una situazione di latente e sconfortante affanno continuo.