Giorgia Meloni, “King Maker” della nuova Ue a trazione centrodestra. Sembra essere questa la prospettiva politico-strategica che si è aperta in seguito al risultato delle elezioni del nuovo Parlamento europeo. Infatti, sebbene a Strasburgo l’accordo consociativo tra PPE e PSE, con l’apporto di ciò che resta dei Liberali, sembra ancora a portata di mano, sarebbe ormai quasi ininfluente, visto il semplice potere di ratifica delle maggioranze molto variabili del PE e, soprattutto, che l’iniziativa legislativa resta appannaggio di Commissione e Consiglio, dove a dominare, indirettamente o direttamente, sono i capi di Governo.
Proprio quei capi di Stato e di Governo che sono usciti pesantemente indeboliti dalle urne comunitarie, ad eccezione del caso italiano, in cui i tre partiti di maggioranza hanno aumentato i propri consensi senza eroderne agli alleati. Il vento di destra, che soffia su tutta l’Europa, in Francia ha fatto crollare il partito di Macron, che, travolto dal boom del Rassemblement Nationale della Le Pen, ha deciso di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni per fine mese, e, in Germania ha dato il primo avviso di sfratto al Cancelliere Scholz, che si è visto doppiare dalla Cdu e, soprattutto, superare da Afd.
Insomma, sembra che gli astri si stiano allineando a favore di uno scenario in cui sarà il PPE ovviamente a guidare le danze e ad esprimere il nuovo presidente della Commissione (Von der Leyen o un’altra figura), ma sarà Giorgia Meloni, unico capo di governo dei tre Paesi maggiori a non uscire con le ossa rotte e anzi rafforzata dalle urne, a trovarsi nella posizione di “King Maker”, assumendo il ruolo di chi dà le carte per decidere i futuri assetti istituzionali Ue.
La premier italiana può imporsi come personalità centrale, anche grazie agli intelligenti passi compiuti in questi due anni, per mediare tra lo stesso PPE e una Le Pen che sta cercando di “melonizzarsi” per poter sedurre l’elettorato moderato e centrista francese. La vera discriminante deve essere, però, la fermezza nel non farsi anestetizzare e risucchiare come stampella dell’attuale “maggioranza Ursula”, non accettando di governare in Europa al traino dei Socialisti.
Se ci riuscirà, facendo capire ai popolari che l’elitaria, costosa e folle agenda green del PSE è contraria al sentore e ai bisogni dei cittadini e delle imprese europee, potrà avviare un percorso di alleanza tra ECR, PPE e parte di ID, specialmente se la Le Pen vincerà le legislative francesi, mettendo il primo mattone per la costruzione di un centrodestra europeo. Un’occasione, da non sprecare.
Per una volta l’Italia può essere laboratorio politico. La via per un centrodestra europeo è stata, infatti, tracciata dal centrodestra italiano uscito vittorioso dalle elezioni del 2022 e, più recentemente, dal neonato governo olandese dopo la vittoria di Geert Wilders alle ultime elezioni, che ha rinnegato putinismo e gretinismo. Su quest’esempio, le basi su cui possono ritrovarsi le forze centriste e di destra del Continente sono l’adesione all’atlantismo e il totale rigetto dell’agenda green. No al putinismo e no al gretinismo.
L’abbandono del putinismo ha significato la fine della dipendenza dal gas russo, mentre, il rigetto del gretinismo dovrà significare la separazione delle economie europee dalla Cina. Entrambe scelte strategiche che rinnegherebbero i percorsi scellerati intrapresi dalla Germania di Angela Merkel, che decise di ancorare l’economia tedesca alla Russia, rinunciando alla risorsa dell’energia nucleare, e alla Cina, illudendosi di poter competere alla pari nel commercio e nello sviluppo dell’automotive elettrico con il Dragone cinese. Contestualmente, la Ue a trazione merkeliana, professava il dogma dell’austerità, conveniente solo ai tedeschi che beneficiavano di un forte surplus commerciale e frenava la crescita economica dei partner diretti concorrenti, mentre l’ingresso continuo di nuovi Paesi membri rendeva sempre più evidente l’insostenibilità del modello federalistico che ingigantiva a dismisura il moloch burocratico centralista di Bruxelles.
Infatti, l’ambito legislativo Ue ha continuato ad espandersi costantemente anche oltre quanto previsto dai Trattati, accrescendo le ingerenze soffocanti verso i quadri normativi nazionali. Ecco, il capo del governo italiano deve fare esattamente il contrario: se Giorgia Meloni avrà la forza e la capacità di far sterzare a destra Commissione e Consiglio, potrà avviare un ambizioso progetto riformatore dell’Unione dalle fondamenta, che abbandoni il modello federalista optando per quello confederale, propugnato illo tempore dal generale De Gaulle, preferito anche da Marine Le Pen e da tutti i principali partiti conservatori del vecchio Continente.
Per depotenziare la burocrazia, l’Ue deve circoscrivere i propri interventi legislativi a pochi macro ambiti, come la politica energetica, la politica sanitaria, quella di governo del fenomeno migratorio, quella militare, da agganciare strettamente alla Nato per scongiurare velleità di potenza degli Stati più grandi, e quella commerciale, che preveda l’imposizione di dazi doganali nei comparti industriali strategici a difesa del mercato comune e dell’area di libero scambio, per evitare il dumping commerciale e la concorrenza sleale, soprattutto della Cina. Stop. Tutto il resto, secondo il principio di sussidiarietà, deve essere di competenza degli Stati nazionali, che potranno meglio rispondere alle esigenze pertinenti dei propri cittadini, riavvicinandoli alla cosa pubblica. Se, infatti, gli europei avranno di nuovo la percezione di poter incidere realmente sulle decisioni dei propri rappresentanti politici interni e sovranazionali, sicuramente l’astensione crollerà.
In conclusione, l’Ue è al bivio: deve scegliere se continuare a difendere il potere della sua tecnocrazia, aliena dalla legittimazione democratica e popolare o, finalmente, provare a mettersi in sintonia con le esigenze dei cittadini. Pertanto, l’Unione deve scegliere se proseguire con un disfunzionale modello federalista o accantonarlo a favore di uno confederale, che implica però un’altra discriminante decisiva: se l’euro vuole sopravvivere e diventare veramente la moneta di tutti gli europei la BCE dovrà cambiare il suo Statuto e dotarsi degli stessi poteri delle altre Banche Centrali, ossia, non badare solo a domare l’inflazione ma aiutare a monetizzare la spesa sterilizzando gli interessi, con l’obbligo di acquisizione di tutti i titoli di Stato delle Nazioni che restano invenduti sul mercato.
In questo caso, si deve completare al più presto il processo verso una vera e compiuta Unione bancaria e verso l’emissione regolare di eurobond, i titoli di debito comune europeo, come successo estemporaneamente per l’emergenza pandemica e come auspicato da Giulio Tremonti già nei primi anni duemila. In caso contrario, meglio tornare alle monete nazionali, ai debiti sovrani in mano interna e alla Banche centrali nazionali con pieni poteri di difesa valutaria. Tertium non datur.