Tra divisioni e dialettiche dovute al proporzionale, l’unità è l’unica strada per vincere le elezioni
Grande fermento, ma anche grande incertezza sulle strategie per i prossimi mesi, per via della mancanza di un leader unitario e dei dubbi su quella che sarà la legge elettorale con cui andare al voto.
Questa è la situazione che, a oggi, accomuna la gran parte delle formazioni politiche in cui si articola il centrodestra come lo avevamo conosciuto nella Seconda Repubblica. Dal Nuovo centrodestra di Angelino Alfano ai Centristi per l’Europa di Pierferdinando Casini (in procinto di dare vita, il prossimo 18 marzo, a un nuovo contenitore dei moderati), da Direzione Italia di Raffaele Fitto ad Alleanza Liberalpopolare-Autonomie di Denis Verdini, da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al Movimento per la sovranità nazionale del tandem Francesco Storace-Gianni Alemanno, per arrivare a Forza Italia e alla Lega Nord, non c’è componente dell’ex Casa delle Libertà che non si stia mobilitando, anche senza aver chiaro come presentarsi agli elettori.
Gli anni di Governi tecnici e di coalizione dopo le dimissioni da premier di Silvio Berlusconi nel 2011 hanno lasciato strascichi e divisioni, in apparenza insuperabili, tra i componenti del campo conservatore. Al momento, sembra assoluta l’incompatibilità politica tra l’ala moderata di Alfano e Casini e l’area “lepenista” rappresentata da Salvini e Meloni, e neanche lo stesso Berlusconi sembra in grado di ricomporre fratture che un tempo avrebbero rappresentato ostacoli di poco conto.
Al contrario, l’ex Cavaliere pare preoccuparsi unicamente di ottenere dalla Corte europea dei diritti dell’uomo la revoca della sua ineleggibilità, in modo da poter correre ancora una volta per Palazzo Chigi. Non a caso, l’ex premier si oppone senza riserve a qualsiasi richiesta di primarie per la scelta di un suo eventuale successore (l’ultima iniziativa in questo senso si è svolta il 1° marzo a Roma, su iniziativa dell’ex ministro Altero Matteoli), e si starebbe facendo addirittura promotore di manovre per indebolire la leadership di Matteo Salvini all’interno della Lega, come l’accenno alla possibile investitura del presidente del Veneto Luca Zaia.
Il segretario leghista, dal canto suo, è convinto di essere il candidato che meglio potrebbe intercettare la protesta nei confronti dell’establishment (sia nazionale che europeo) che si respira anche in Italia, e di poter raccogliere il massimo da un rapido ritorno alle urne, succeda quel che succeda dal lato delle alleanze e della riforma elettorale. I piani dell’eurodeputato, tuttavia, sono minacciati dalla concorrenza del Movimento 5 Stelle come forza antisistema per eccellenza e dalla storica difficoltà che la Lega Nord incontra nell’estendersi in qualche modo al Centro-Sud (in tal senso, non sembra aver prodotto grandi risultati l’esperimento di “Noi con Salvini”), mancanza che difficilmente potrebbe essere compensata da Fratelli d’Italia e dal mondo ex An.
Anche nel centrodestra, in definitiva, inizia a farsi sentire l’effetto disgregazione che porta con sé l’attuale ritorno al proporzionale, sebbene appaia evidente la necessità per le forze conservatrici di ritrovare una qualche forma di unità per poter essere competitivi alle future votazioni nazionali (secondo alcuni sondaggi, la ricomposizione della coalizione garantirebbe il sorpasso sia sul Pd che sull’M5S). Di conseguenza, non è affatto da escludere l’ipotesi di un “listone unico” (favorita dalla presenza del premio di maggioranza nazionale al 40%) tra FI, Lega, FdI e altre forze affini, ma a meno di svolte nella linea politica sarebbe una scelta dettata chiaramente più dall’interesse che non dalla convinzione.