Presentate varie proposte di legge, ma lo scontro è tra M5S e Pd
di Omar Ariu
Nonostante l’abolizione dei vitalizi ai parlamentari varata nel 2012, le forze politiche continuano a discutere su come migliorare il sistema vigente.
In questi giorni si è riacceso il dibattito politico sulla questione, un tema piuttosto delicato che trova spesso il suo alleato principale nella disaffezione di una parte degli elettori per la classe politica italiana. Essendo dunque un argomento particolarmente sentito dall’opinione pubblica, è necessario sviluppare un quadro lineare, chiaro e cronologico.
Tutto nasce dall’art. 69 della Costituzione: “I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla Legge”, ed essendo un trattamento economico a tutti gli effetti la decisione politica è stata quella di garantire ai deputati e ai senatori eletti un vitalizio di fine mandato inquadrato come un trattamento pensionistico. I vitalizi dei parlamentari, infatti, risalgono alla prima Legislatura repubblicana e venivano calcolati sulla base di un sistema retributivo, secondo il quale il parlamentare avrebbe percepito una “pensione” di fine attività legislativa in riferimento alle modalità allora vigenti.
Nel corso degli anni, tuttavia, questo sistema è stato progressivamente percepito come un privilegio eccessivo di cui i parlamentari potevano beneficiare. Solo nel 2012, però, si è cambiato radicalmente la procedura di calcolo dei vitalizi.
Così dal 1° gennaio 2012, di fatto, i vitalizi dei parlamentari sono stati aboliti per dare vita a un nuovo trattamento previdenziale basato su un sistema di calcolo contributivo. Proprio a fronte di questo cambiamento, è necessario chiarire la differenza tra quanti hanno dunque cessato il proprio mandato parlamentare prima di gennaio 2012 (o che sono stati eventualmente rieletti dopo tale data) e coloro che, invece, sono risultati eletti per la prima volta dopo il ricalcolo pensionistico.
Nel caso della prima categoria, si applica un sistema definito pro rata (ossia in proporzione al tempo) in base al quale si sommano la quota di vitalizio definitivamente maturato fino al 31 dicembre 2011 e la quota contributiva riferita agli altri anni maturati nel mandato parlamentare dal 2012 in poi.
Per quanto riguarda, invece, i parlamentari eletti dopo il 1° gennaio 2012, questi possono percepire integralmente la propria pensione una volta maturati due requisiti fondamentali: il criterio anagrafico e, per l’appunto, quello contributivo.
Al compimento dei 65 anni d’età e dopo aver svolto il mandato parlamentare per almeno 4 anni, 6 mesi e 1 giorno, il parlamentare potrà beneficiare della pensione. Per ogni anno di mandato ulteriore, l’età richiesta per il conseguimento del diritto è diminuita di un anno, con il limite all’età di 60 anni. Di fatto, dunque, a seguito della modifica del sistema il contributo per il versamento della pensione è pari al 33% dell’indennità percepita dal parlamentare, di cui lo stesso parlamentare paga l’8,8% mentre il restante 24,2% è a carico dello Stato.
Inoltre bisogna sottolineare che, sempre secondo il Regolamento entrato in vigore il 31 gennaio 2012, è prevista una sospensione della pensione per coloro che vengono rieletti a una nuova carica politica incompatibile con lo status di parlamentare, la cui indennità percepita sarebbe superiore al 50% della precedente indennità parlamentare.
Nonostante la disciplina vigente, in questi giorni le forze politiche presenti in Parlamento stanno discutendo, anche animatamente, su come migliorare il sistema. Ciò perché, ai più, il trattamento pensionistico risulta ancora troppo di favore per i parlamentari.
Tra le diverse proposte avanzate nelle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato, quelle del Movimento 5 Stelle e del Pd sembrano virare verso lo stesso obiettivo, ovvero equiparare definitivamente la pensione dei parlamentari a quella dei comuni cittadini. Chiaramente la linea proposta dalle due forze politiche differisce sulle modalità da attuare. Vediamo come.
ll Movimento 5 Stelle ha proposto agli Uffici di Presidenza di Camera e Senato, che si occupano dei Regolamenti delle due Assemblee, di adottare una delibera per cancellare le attuali pensioni dei parlamentari, al fine di velocizzare i tempi e applicare rapidamente le nuove regole. Una modalità, questa della delibera degli Uffici di Presidenza, già utilizzata nel luglio del 2015, quando i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, la adottarono per eliminare i vitalizi agli ex parlamentari condannati in via definitiva a oltre 2 anni di reclusione per reati di particolare gravità.
Per l’M5S, dunque, sarebbe necessario avviare un nuovo sistema di calcolo pensionistico per i parlamentari, che verserebbero i contributi nelle casse della previdenza pubblica per poter far maturare la pensione secondo il calcolo previsto dalla Legge Dini del 1995, e contestualmente ai criteri e alle norme previste dalla vigente Legge Fornero.
La proposta del Pd invece, sostenuta dal renziano Matteo Richetti, mira all’approvazione di una Legge ad hoc che dia vita ad un sistema pensionistico contributivo come quello in atto per i dipendenti pubblici, da estendere ai parlamentari in carica, agli ex deputati e senatori che percepiscono un vitalizio (in quanto diritto maturato prima del 2012) e, addirittura, ai futuri parlamentari e ai consiglieri regionali. Con questo sistema, Richetti propone l’istituzione presso l’Inps di un’apposita gestione separata dei fondi rivolti ai parlamentari, in modo tale da poter monitorare autonomamente il trattamento pensionistico degli stessi.
La dialettica di questi giorni tra i due partiti, dunque, si sta amplificando sulla metodologia legislativa, parlamentare e politica da applicare per rivedere il sistema previdenziale dei parlamentari.
Il M5S punta su una rapidità di intenti, affinché si velocizzi l’iter di eliminazione prima della maturazione della pensione nei tempi previsti dalle attuali norme (4 anni, 6 mesi e 1 giorno) e per evitare, inoltre, che la fine della Legislatura prevista per febbraio 2018 (o anche prima, se si dovesse andare a elezioni anticipate) possa bloccare il provvedimento.
Il Pd mira al contrario a una Legge che possa regolamentare con maggiori dettagli le dinamiche e i criteri vigenti per le pensioni dei parlamentari.
Vedremo nelle prossime settimane se si riuscirà a trovare un compromesso in Parlamento, oppure se una delle due proposte prevarrà sull’altra.