di Francesco Scolaro
Il dialogo PD-M5S, inaugurato meno di due settimane fa, segna già la prima brusca battuta d’arresto. Il secondo incontro, previsto per lunedì 7 luglio, è stato annullato dal PD che, nella serata del 6 luglio, aveva chiesto al M5S di formalizzare nero su bianco una risposta ai 10 punti posti dai democratici in materia di legge elettorale. Non si tratta di una chiusura definitiva, ma il PD prende tempo (attendendo il documento scritto dei pentastellati) per valutare l’effettivo bisogno di coinvolgere il Movimento di Grillo nella partita delle riforme. Nella scorsa settimana c’è infatti stato un nuovo incontro tra il premier Matteo Renzi e il leader di FI, Silvio Berlusconi. Al centro sempre la riforma della Costituzione e la nuova legge elettorale. Una sorta di aggiornamento del Patto del Nazareno che avrebbe portato ad un consolidamento dell’intesa. Evidentemente, la possibile – e, al momento, solo potenziale – sinergia PD-M5S ha avuto immediate ripercussioni sulle precedenti alleanze: tutti vogliono partecipare al processo riformatore ma tutti sono consapevoli che la golden share è nelle mani del PD.
Renzi sembra avere sotto controllo la situazione nel suo complesso, cerca di amministrare la posizione di vantaggio detenuta dal PD, ma è al contempo informato del fatto che i pericoli principali per le riforme potrebbero giungere dall’interno del PD e dell’alleato FI.
Il Presidente del Consiglio sa che il cammino parlamentare non potrà essere privo di insidie e sa che le minacce più serie potranno essere portate proprio dalla cosiddetta fronda intestina al PD (capeggiata dai senatori Chiti e Mineo e, alla Camera, da Civati) e dalla sostanziale spaccatura interna a FI (con molti senatori, guidati da Minzolini, recalcitranti all’idea di votare per l’eliminazione della loro stessa poltrona): tutti ostacoli ben visibili in superficie che lasciano pensare che con il tempo possa nascere e crescere, sotto traccia, una schiera di franchi tiratori. Questa eventualità, tutt’altro che remota, dovrà essere tenuta in debita considerazione.
Tornando al M5S, nella versione conosciuta fino alle elezioni europee del 25 maggio scorso, non solo non avrebbe mai proposto al PD una riunione per discutere di alcunché, ma non ne avrebbe caldeggiata una seconda e, dopo l’annullamento last minute deciso dal PD, avrebbe sicuramente rialzato le vecchie barricate. Invece la reazione “a caldo” del Movimento, affidata al vicepresidente della Camera Di Maio, è stata cauta: “da ora in poi parliamo solo con Renzi, nel PD gli altri non sono affidabili”. La risposta pacata e sostanzialmente attendista dell’On. Di Maio è stata subito superata dall’accelerazione impressa da Beppe Grillo che sembrerebbe voler repentinamente archiviare la – brevissima – fase di dialogo.
Il M5S non avrebbe modificato la propria strategia originaria (assoluto rifiuto di qualunque compromesso con qualunque partito politico) se il PD di Renzi non avesse ottenuto lo straordinario risultato delle europee. Vedremo se il paventato ritorno al vecchio metodo di chiusura totale, “senza se e senza ma”, nei confronti del PD sarà definitivo o se sarà soltanto l’ennesima mossa di una lunga partita a scacchi. Perché i tempi cambiano, le condizioni politiche mutano velocemente e con loro anche le relative tattiche e strategie. La politica d’altronde, come sosteneva il cancelliere Bismarck, è l’arte del possibile.