Solo nel nostro Paese vince la protesta contro le posizioni “istituzionali”?
Cosa c’entrano i referendum italiani con il ballottaggio per le presidenziali, in Francia? C’entrano, c’entrano. Vediamo.
L’imprevisto (?) No alla consultazione sindacale sull’accordo Alitalia ha fatto il paio, la fine dello scorso anno, con l’inattesa (?) bocciatura al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. Certo, si trattava di materie e di situazioni del tutto diverse. Basti pensare ai dolorosi effetti umani e sociali che potrebbero manifestarsi per i lavoratori della compagnia di bandiera. Ma un importante punto comune esiste ed è sotto gli occhi di tutti. Il rifiuto, la protesta, il “no” gridato forte che nasce dal basso per qualunque proposta che venga considerata calata dall’alto. Frutto dell’establishment, di posizioni considerate comunque istituzionali. Un rigetto contro la politica, il sindacato, gli economisti, i commentatori, la stampa… una bocciatura netta e senza appello, nonostante nel primo caso si mettesse in guardia contro la tempesta politica-economica che si sarebbe abbattuta sul Paese in caso di sconfitta del Sì e nel secondo si parlasse apertamente di probabile procedura fallimentare per l’azienda.
Ora, se le cose stanno così e allarghiamo l’angolo visuale Oltralpe dove le avvisaglie non sono da meno (crollo storico dei partiti tradizionali e vittoria dei non partiti e dei partiti “contro”), cosa rischia al prossimo ballottaggio il buon Macron vincitore del primo turno contro Le Pen?
Rischia di vedersi coalizzare “contro” tutte le forze che lo vedono come rappresentante, appunto, della “casta” nonostante i suoi tentativi di accreditarsi, all’opposto, come la novità. Una novità che finora ha pagato riscrivendo la storia partitica nazionale ma che adesso potrebbe non bastare. In fondo, il 39enne esponente di En Marche! proviene dichiaratamente dal mondo bancario, quello degli spread e dei fallimenti pilotati tanto per intenderci, ed è stato ministro dell’Economia con Hollande. E’ un borghese dalla testa ai piedi avvezzo, come tutti i politici, all’opportunismo di maniera.
Lo ha capito Marine Le Pen che, ora, di fronte a quello che nella sostanza è una sorta di referendum nazionale tra Europa e “sovranismo populista di destra” cerca di mobilitare la protesta delle classi più umili e sofferenti mischiando populismo, disagio sociale e operaio in nome del “Popolo”. Puntando a far tornare alle urne alcune frange degli astensionisti.
Ci riuscirà? Lo sapremo soltanto tra pochi giorni. Intanto, se fossimo in Macron, non sederemmo troppo sugli allori.
La gente è stanca in Italia come in Francia (senza dimenticare Brexit!). E ormai non guarda più nemmeno alla sostanza delle cose. Specie se si fa ricorso allo strumento del referendum secco. Insomma, come la si rigiri, un brutto affare.