di Francesco Scolaro
Che fine ha fatto il MoVimento Cinque Stelle? La domanda è un’evidente provocazione, ma se si analizza l’evoluzione e l’efficacia dell’azione parlamentare del M5S si passa dalla provocazione alla constatazione: negli ultimi mesi, la presenza di deputati e senatori sui banchi di Camera e Senato si è fatta notare quasi esclusivamente per le trovate ostruzionistiche, mentre pochi sono stati gli spunti propositivi degni di nota. L’ostruzionismo è un’arma a disposizione delle opposizioni ed è quindi legittimo che il M5S lo utilizzi in tutte le sue sfaccettature, ma inizialmente alcuni riponevano aspettative molto più alte nella presenza dei “grillini” in Parlamento.
Dopo il vero e proprio boom del M5S in occasione delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 (25,56%, più di 8 milioni e mezzo di suffragi, risultando dietro solo al PD), sembrava si potesse aprire una pagina assolutamente originale e nuova nella storia della Repubblica italiana, ma ciò non è stato, o almeno non lo è stato completamente. Lo scenario che sembrava si stesse delineando era quello di una possibile collaborazione tra il PD e il M5S. La coalizione di centrosinistra non aveva fatto registrare un risultato soddisfacente e la distribuzione dei seggi in Parlamento era tale da assicurare la governabilità solo alla Camera ma non al Senato. L’allora Presidente del Consiglio designato Bersani provò a coinvolgere il M5S in vista quantomeno di un appoggio esterno al Governo. Tuttavia, la diretta streaming dell’incontro tra Bersani e Grillo sancì l’incomunicabilità dei due mondi e preannunciò la fine dell’era Bersani alla segreteria del PD. In quella occasione, Grillo rimase fedele alla linea costituente del MoVimento (nessuna alleanza con nessun partito) ma perse (e fece perdere) l’occasione di collaborare al Governo del Paese: i programmi elettorali di PD e M5S presentavano alcune limitate divergenze mentre numerosi erano i temi sui quali si potevano riscontrare punti di contatto che avevano lasciato intravedere i presupposti per una concreta cooperazione.
Dopo mesi passati a inveire contro i Governi Letta e Renzi e a inscenare plateali proteste all’interno dei due rami del Parlamento, il M5S e i suoi leader credevano fosse maturato il tempo della vittoria contro il sistema partitico italiano (l’hashtag #vinciamonoi era diventato virale sul web). Il teatro dello scontro finale avrebbe dovuto essere l’elezione per il rinnovo del Parlamento europeo del 25 maggio 2014. Invece, quello che nelle attese del M5S (e di tanti analisti e sondaggisti) avrebbe dovuto essere il D-Day contro il Governo Renzi, si trasformò nel più grande successo mai fatto registrare per un partito di centrosinistra (il PD raccolse il 40,8% dei consensi) e in una cocente sconfitta del MoVimento (21,1%, con una perdita di quasi 3 milioni di voti rispetto al febbraio 2013).
Alla luce della “disfatta” delle europee e forse memore della storica occasione persa nel 2013, a giugno 2014 Beppe Grillo ha scelto di modificare la linea purista del MoVimento, aprendo al dialogo con il PD del nuovo segretario Matteo Renzi (nel frattempo diventato anche Presidente del Consiglio) in materia di riforma costituzionale e di legge elettorale. Non solo, Grillo in quella fase ha anche deciso di disertare gli incontri istituzionali con la delegazione PD, aprendo alla legittimazione dell’On. Luigi Di Maio nel ruolo di leader (fino ad allora il M5S si era caratterizzato per l’assoluta assenza di leadership subalterna al tandem Grillo-Casaleggio). Tuttavia, i modi (dirette streaming che assicuravano trasparenza ma non favorivano l’inevitabile ricerca di compromessi) e i tempi (Renzi e Berlusconi avevano già da tempo stretto il cosiddetto Patto del Nazareno) scelti sono stati completamente sbagliati e hanno contribuito a irrobustire la posizione del Capo del Governo e il suo potere contrattuale con Forza Italia. Quella di Grillo è stata una sorta di tentativo di riparare ad un errore tattico che però si è rivelato essere un ulteriore sbaglio: il dialogo PD-M5S, inaugurato a metà giugno, è durato solo pochi incontri per poi naufragare completamente durante la pausa estiva dei lavori parlamentari fino a non lasciare più tracce.
Nel corso di quelli che sono quasi due anni di legislatura (e di presenza in Parlamento), il M5S è quindi passato da un ruolo potenzialmente decisivo e centrale a un ruolo secondario e marginale. La leadership di Grillo sembra aver perso lo smalto di un tempo e, ultimamente, anche quello che sembra essere il leader in pectore, Luigi Di Maio ha avuto finora poca visibilità. Il M5S tenterà il rilancio con la manifestazione prevista a Roma per il 10, 11 e 12 ottobre 2014. Vedremo se in quella occasione troverà conferma la sensazione che il MoVimento si sia fermato o se torneranno a esserci segnali di moto.