di Francesco Scolaro
Domenica 23 novembre 2014 si sono svolte le elezioni in due Regioni italiane, l’Emilia-Romagna e la Calabria.
In entrambe si votava a causa di una chiusura anticipata – e burrascosa – della precedente legislatura regionale: l’Emilia-Romagna era andata alle urne l’ultima volta nel 2010, così come la Calabria. Le due giunte uscenti (di centrosinistra la prima, di centrodestra la seconda) erano state “colpite e affondate” da inchieste giudiziarie che avevano avuto diversa genesi e natura ma che avevano avuto la medesima forza d’urto e lo stesso epilogo politico: le dimissioni.
Volendo ricapitolare sinteticamente quello che è stato l’esito dei due voti regionali, si può dire che a vincere la battaglia sono stati l’astensionismo (che però non presenta candidati alle elezioni), il Partito Democratico e la Lega Nord, mentre a vincere la guerra – che poi è l’unica cosa che conta – sono stati il centrosinistra e, più nello specifico, il PD. Tutte le altre formazioni politiche sono praticamente diventate marginali, da Forza Italia che in Emilia-Romagna si è fermata all’8% (non riuscendo ad andare in doppia cifra) e che rischia nuovamente la spaccatura tra i fedelissimi di Berlusconi e i “progressisti” di Fitto, al MoVimento Cinque Stelle che in Calabria ha raccolto solo il 5% dei consensi e non avrà suoi rappresentanti nel nuovo Consiglio regionale. La Lega stessa, che da molte parti viene descritta come la vincitrice morale di questo turno elettorale, a parte raggiungere il 19% in Emilia-Romagna riuscendo a doppiare FI (in uno scontro fratricida, dato che entrambi i partiti si collocano nel centrodestra), non ha nessuna possibilità di riuscire a replicare questo risultato su scala nazionale.
Non si può parlare di trionfo per nessun partito a causa della disarmante affluenza alle urne, che in entrambi i casi è stata largamente al di sotto della soglia psicologica del 50%, ma sicuramente il PD ha vinto le due partite, senza faticare. L’astensionismo, sicuramente accentuato dal fatto che in entrambe le Regioni le Giunte e i Consigli uscenti sono stati travolti da scandali giudiziari, rileva un grave e diffuso clima di sfiducia nei confronti della politica. Un clima tale da riuscire a intaccare anche la tradizionale base del PD in Emilia-Romagna, dove perde 300 mila voti rispetto al 2010, ma si mantiene sopra al 40% dei suffragi (nel 2010 raggiunse il 40,64%, ieri ha ottenuto il 44,52%). Il PD ora governa in 15 Regioni su 20 e da quando Renzi è stato eletto segretario ha strappato al centrodestra quattro Regioni su quattro (Calabria, Sardegna, Piemonte e Abruzzo).
Farebbero un grande errore i commentatori, gli analisti e gli esponenti politici di ogni partito se si fermassero a riflettere esclusivamente sull’allarmante livello raggiunto dall’astensionismo. Allo stesso modo, farebbero un grande errore i commentatori, gli analisti e gli esponenti politici di ogni partito se sottovalutassero la portata dell’astensionismo, le sue cause più profonde e le sue più probabili valvole di sfogo. Ma farebbe un errore ancora più grande chi non constatasse che da quando Renzi ha scalato il PD non ha perso una guerra (elettorale), anzi, le ha vinte tutte. E questo elemento dovrebbe spingere tutti a una considerazione molto più approfondita: quanto durerà il periodo di Renzi nella versione “Re Mida”? Quale sarebbe la convenienza del premier a non votare nel 2015 e a rimandare la “prova del 9” al lontano 2018? La risposta alla prima domanda condizionerà sicuramente la risposta alla seconda e viceversa. Ad oggi, Renzi non ha avversari credibili che potrebbero realisticamente pensare di batterlo. E Renzi questo lo sa bene e sa anche che il 2018 è una scommessa troppo difficile da vincere, soprattutto perché durante i prossimi tre anni rischierebbe di logorarsi inesorabilmente, dovendo continuare a governare con un Parlamento eletto in un’altra epoca (sono passati meno di due anni dalle ultime elezioni politiche ma l’impatto dell’ex sindaco di Firenze sulla politica italiana è stato assolutamente travolgente, epocale) e con una maggioranza traballante. I risultati delle regionali in Emilia-Romagna e Calabria, caratterizzati da un vasto astensionismo e dalla vittoria del PD, secondo molti analisti sarebbero tali da allontanare l’ipotesi voto anticipato nel 2015, io penso invece che non fanno altro che renderla più probabile di quanto già non fosse pochi mesi fa.