Nonostante le iniziative messe in campo, l’interesse verso forme di mobilità alternativa in Italia rimane ancora troppo basso. Serve il Pnire
L’auto elettrica come possibile soluzione per promuovere una forma di mobilità più sostenibile ed attenuare, allo stesso tempo, l’impatto dei trasporti: questo l’obiettivo del libro bianco presentato lo scorso 11 luglio presso la Biblioteca della Camera dei deputati, a cura della rivista specializzata Start magazine, e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente.
Un tentativo lodevole quello del libro bianco, che cerca di fornire un quadro esaustivo ed aggiornato della situazione italiana, aggregando una serie di dati e di studi recenti in materia, allo scopo dichiarato di aumentare la sensibilità nei confronti dei benefici ambientali e, in prospettiva, di quelli economici, promessi dal settore della mobilità elettrica.
A frenare la diffusione delle vetture elettriche, che rappresentano una quota ancora troppo ridotta del mercato automobilistico italiano, c’è – tuttora – in primo luogo il costo per molti inaccessibile delle auto e una rete nazionale di colonnine di ricarica ancora troppo ridotta e male organizzata.
Basti pensare che a dicembre 2016 il parco auto a batteria circolante in Italia era pari a 8.750 vetture – con un trend al ribasso – e che nel nostro Paese ci sono attualmente poco più di 2800 punti di ricarica, sorti tutti (o quasi) per iniziativa dei privati, in assenza, ancora oggi, a livello nazionale, di un piano per la infrastruttura elettrica.
La presentazione del libro ha infatti anticipato di pochi giorni l’approvazione da parte del Cipe dell’accordo di programma con le Regioni per la realizzazione del Pnire, il Piano nazionale per la ricarica dei veicoli elettrici, un accordo che vale oltre 72 milioni di euro e che attende ora il via libera definitivo da parte del Consiglio dei Ministri.
Come sottolineato nel dossier, con il Pnire il Governo si era impegnato all’installazione, a partire dal biennio 2015-2016, di 150 stazioni di rifornimento su strade e autostrade, numeri che sarebbero dovuti crescere negli anni successivi – fino ad arrivare a 1.400 stazioni di rifornimento – ma che, almeno per il momento, sono rimasti disattesi. Nel tempo infatti i fondi stanziati dal Pnire sono stati ridotti e il denaro speso per la realizzazione delle infrastrutture è risultato insufficiente, come è stato denunciato recentemente dalla stessa Corte dei Conti.
A spingere per una mobilità più sostenibile, c’è in prima linea l’Europa, con due iniziative normative che dovrebbero dare un forte impulso alla diffusione delle auto elettriche anche nel nostro paese: la Strategia Europa 2020 e la Strategia Trasporti 2050.
In particolare, con quest’ultima strategia, l’Ue ha definito una roadmap per la competitività dell’intero settore, fissando l’ambizioso obiettivo di una riduzione del 60 per cento delle emissioni di CO2 generate da veicoli, con il superamento del numero dei veicoli tradizionali da parte di quelli ad alimentazione elettrica nelle città europee, affermando così un forte impegno verso la produzione di veicoli elettrici o ibridi a basse emissioni.
Tra le iniziative a sostegno della mobilità elettrica, passate in rassegna dal libro bianco, troviamo anche la DAFI, la Direttiva europea sui combustibili alternativi (Direttiva 2014/94/UE – Deployment of Alternative FuelsInfrastructure) che il Governo italiano ha recepito con il Decreto legislativo n. 257/2016, con l’obiettivo, ancora molto lontano, di ridurre la dipendenza dal petrolio e attenuare l’impatto ambientale nel settore dei trasporti. Come specificato nella direttiva DAFI, l’elettricità può infatti aumentare l’efficienza energetica dei veicoli stradali e contribuire alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei trasporti, con vantaggi in termini di miglioramento della qualità dell’aria e riduzione dell’inquinamento acustico negli agglomerati urbani delle altre zone densamente popolate.
Mentre i portatori di interesse discutono di e-mobility, dal Governo non si hanno ancora notizie del piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, previsto nell’ultima Legge di bilancio e che avrebbe dovuto essere adottato con DPCM entro il 30 giugno di quest’anno. Il Piano aveva come obiettivo quello di incrementare l’offerta infrastrutturale, creando 90.000 punti di ricarica accessibili al pubblico entro il 2016 per salire a 110.000 nel 2018 e a 130.000 nel 2020. Un traguardo molto ambizioso che difficilmente verrà raggiunto nei tempi stabiliti.
Nelle sue conclusioni, il libro bianco sottolinea la necessità di continuare a lavorare, a tutti i livelli, per accelerare lo sviluppo della ricarica pubblica – rimuovendo gli ostacoli e le ragioni che hanno ritardato sino ad ora gli obiettivi del Pnire – e per implementare quella privata, sia negli edifici esistenti che in quelli di futura costruzione, attraverso il concorso di attori pubblici come i Comuni e l’Autorità per l’energia, il tutto accompagnato da misure regolatorie favorevoli.