Protagonismo bilaterale e nel Mediterraneo, mentre un rinnovato asse franco-tedesco isolerebbe Roma
di Mara Carro
La notizia che il Governo italiano aprirà un’istruttoria sull’eventuale utilizzo dei poteri di golden power in merito all’assetto strategico della rete Tlc, in particolare “su alcune tematiche di corporate governance affrontate di recente dal cda Tim riguardo l’inizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi” sancise, se pure ce ne fosse stato bisogno, la fine ufficiale della breve luna di miele tra la Francia di Emmanuel Macron e quanti nel nostro Paese avevano visto nell’elezione dell’ex ministro di Hollande a Presidente della République “una speranza per l’Europa” trascurandone le inclinazioni “bonapartiste”.
Macron sa sicuramente fare il suo lavoro ma i primi mesi non hanno consegnato l’immagine di un europeista convinto bensì di chi non si pone altro obiettivo che realizzare gli interessi nazionali del suo paese, giocando apertamente contro gli opposti interessi italiani, (spesso) mal definiti e sicuramente mal tutelati dalle nostre élites.
In meno di tre mesi l’entusiasmo italiano per il presidente francese è decisamente calato e i sostenitori della prima ora iniziano a fare i conti con la realtà. Al centro delle crescenti tensioni tra Roma e Parigi prima il secco no francese alla richiesta italiana di aprire i porti ai migranti, poi l’intervento diplomatico sulla crisi libica non coordinato con il governo di Roma e adesso l’affaire Stx-Fincantieri, ultimo esempio della politica francese di procedere per acquisizioni di grandi aziende resistendo ad acquisizioni ostili e sottrazione di capacità tecniche e strategiche dall’estero.
L’ultimo sgarbo in ordine temporale è stato proprio la decisione francese di bloccare l’operazione di acquisizione dei cantieri di STX France da parte di Fincantieri, che si era assicurata la controllata francese del fallito gruppo sudcoreano STX presentando l’unica offerta al Tribunale di Seul e impegnandosi con il governo francese a mantenere invariato l’attuale livello occupazionale.
L’accordo di compromesso durante la presidenza Hollande, che avrebbe lasciato l’Italia con una quota di maggioranza, è stato stracciato dall’attuale ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, che invece ha suggerito una ripartizione 50-50, una proposta che, finora, gli italiani hanno rispedito al mittente. Per trovare una soluzione, i due governi si sono dati tempo fino al vertice bilaterale del 27 settembre tra il primo ministro italiano, Paolo Gentiloni, e Macron
Prima della vicenda Stx-Fincantier, l’iniziativa unilaterale di Macron che ha portato a Parigi Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar, i leader delle due principali fazioni in Libia, tenendo fuori Roma e lasciandola sola a gestire le ondate di migranti in partenza dalla Libia, conseguenza di quella crisi che era stata proprio la Francia ad aprire con i bombardamenti di Sarkozy contro Gheddafi nel 2011. Incontro culminato in una dichiarazione congiunta in cui i due contendenti libici si sono impegnati in una road map per il cessate il fuoco, elezioni nel 2018 e la costituzione di un esercito regolare. Sicuramente un successo d’immagine per Macron e la Francia che tenta di riproiettarsi nel Mediterraneo e ampliare la sua influenza in Libia, da sempre terreno di contesa strategica ed economica con l’Italia, con chiari vantaggi in termini economici, grazie ai dividendi del petrolio, e di grandeur.
In linea generale e con una buona dose di pragmatismo, Macron ha saputo leggere una situazione internazionale in rapida evoluzione, frutto del cambio della guardia alla Casa Bianca, del venir meno della strategia globale obamiana, di un discreto spazio di manovra offerto dall’appuntamento elettorale che attende la Germania a settembre e della prossima uscita della Gran Bretagna dall’Ue che farà di Parigi l’unico paese europeo ad avere un arsenale nucleare e un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu.
Sul dossier libico, nello specifico, se l’Italia ha aderito allo schema onusiano e obamiano di stabilizzare la Libia scommettendo sul debole Serraj, che non ha alcun potere effettivo, la Francia ha sostenuto anche Haftar, e con lei Egitto, Russia, Emirati Arabi Uniti, e ora anche gli Usa del presidente statunitense, Donald Trump, pronti a puntare sull’uomo forte di Bengasi. E candidandosi a ruolo di interlocutore privilegiato degli Usa in Europa sul tema della sicurezza, sostituendo di fatto Londra, ecco che il presidente francese si presenta come leader di riferimento per una buona parte del Nord Africa e del Sahel dove Parigi ha importanti interessi militari, economici e finanziari. Da qui l’invito a Trump ad assistere alla parata militare in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia, archiviando facilmente l’iniziale scontro sul clima.
Il brusco risveglio per l’Italia viene, infine, anche dall’interpretazione che Macron ha dell’integrazione europea: un’integrazione che molto più probabilmente coinvolgerà la Merkel in un rinnovato asse franco-tedesco, piuttosto che una più ampia cooperazione con altri paesi dell’UE, tra cui l’Italia. Se Macron sarà in grado di strappare concessioni a Berlino sulle riforme della zona euro ciò potrebbe ancora tradursi in un vantaggio per l’Italia. Tuttavia alcune iniziative franco-tedesche in materia di difesa, prese senza consultare l’Italia, che sarà la terza potenza europea dopo che Londra avrà lasciato l’UE nel 2019, accrescono i timori di isolamento di Roma.