Resta cancelliere ma c’è il boom dell’estrema destra di AfD. Negoziati per la formazione del nuovo governo in salita
di Mara Carro
La campagna elettorale tedesca più noiosa degli ultimi anni si è conclusa con un esito non così scontato. Angela Merkel, da dodici anni alla guida della Germania, ha vinto le elezioni federali del 24 settembre con il 32,9 % dei voti ma il suo blocco conservatore – Cdu/Csu – è arretrato notevolmente rispetto al 41,5 % del 2013, poco distante dal risultato peggiore della sua storia, nel 1949, quando raccolse il 31% dei voti. Il Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), guidato da Martin Schulz, è andato ancora peggio, ottenendo il 20,5% dei voti, l’esito peggiore dal dopoguerra per un partito che è sempre stato un pilastro della vita politica tedesca.
Il risultato elettorale è una bocciatura per la Grosse Koalition che ha governato la Germania negli ultimi anni e, come già successo in altri paesi europei, si traduce in un ridimensionamento dei principali partiti popolari e in una redistribuzione dei loro voti verso formazioni minori, a conferma del forte desiderio di una vera alternativa a conservatori e socialdemocratici diventati, negli anni, quasi indistinguibili per gli elettori.
La notizia di queste elezioni è però l’ingresso nel Bundestag, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, di un partito ultranazionalista e di estrema destra come Alternative für Deutschland (AfD). Formazione populista, il cui discorso nazionalista, anti – immigrazione e anti – Islam ha beneficiato delle critiche alla gestione della questione migratoria da parte del Cancelliere Merkel, AfD è risultato il terzo partito più votato, con il 12,6% dei voti, una percentuale superiore alle aspettative della vigilia. Nel 2013 si era fermato al 4,7 per cento. L’importanza del risultato di AfD non sta solo nell’essere il primo gruppo alla destra dei cristiano democratici ad entrare nel parlamento federale della Germania in più di mezzo secolo, ma nella possibilità di spostare a destra il dibattito politico in Germania, contagiando i partiti sistemici. L’affermazione di AfD non va però drammatizzata ma ricondotta in un contesto dove la stragrande maggioranza dei tedeschi non ha votato per AfD e la maggior parte di coloro che lo ha fatto, lo ha fatto per protesta
Dietro ad AfD, i liberali della Freie Demokratische Partei (FDP) con il 10,8%, che tornano in Parlamento dopo una legislatura, Die Linke con il 9,2% e, infine, i Verdi con l’8,7
Vincitrice designata da mesi, con le sole incognite riguardanti la dimensione e il colore della prossima coalizione governativa, oggi la Merkel deve fare i conti con un’aritmetica elettorale diversa e obbligata. Con Schulz che ha posto fine all’alleanza di governo CDU-SPD (anche per togliere ad AfD il ruolo di principale forza di opposizione e la possibilità di rivendicare alcuni incarichi), il netto no a possibili alleanze con AfD e Die Linke, l’unica coalizione di governo praticabile per la Merkel è quella con FDP e Verdi, ribattezzata “coalizione Giamaica” (dai colori simbolo dei partiti, nero, giallo e verde, che ricordano quelli della bandiera giamaicana), con tutta la variabilità che una coalizione a tre partiti può comportare. Un’alleanza conservatori, liberali e verdi chiamerebbe la Merkel ad una notevole prova di leadership interna per conciliare visioni divergenti di forze politiche con matrici culturali profondamente diverse. Se i partiti non dovessero raggiungere un’intesa solida, un governo di minoranza guidato dalla Merkel sarebbe un’opzione. Tuttavia, la maggior parte degli osservatori politici crede che nuove elezioni sarebbero l’alternativa più probabile per formare un governo con un mandato chiaro.
Dopo le elezioni del 2013, sono trascorsi 86 giorni prima che il governo Merkel III prendesse forma. E da oggi la Merkel è chiamata a fronteggiare il problema, molto italiano, di forgiare una coalizione di governo che assicuri stabilità alla Germania e, di rimando, all’Europa tutta, nonostante il parlamento più frammentato degli ultimi decenni che, per la prima volta dal 1953, conterà sei gruppi al suo interno.
Le alchimie elettorali che andranno a forgiare la coalizione di governo non determineranno soltanto quali politiche perseguirà il nuovo esecutivo tedesco ma anche quali partiti si intesteranno ministeri potenti – come quello delle Finanze e degli Affari esteri – che avranno un grande impatto sulla politica globale e soprattutto sull’Unione europea (Ue). Da qui il potenziale significato del voto, non solo per la Germania, ma anche per la determinazione del futuro dell’Ue.
Dopo che anni di crisi economica e l’ascesa di movimenti nazionalisti hanno reso impraticabile la riforma istituzionale dell’Ue, oggi, con l’economia europea in ripresa e la stagione elettorale del 2017 che volge al termine, l’ambiente politico per la riforma è diventato più favorevole.
Come economia più grande d’Europa e membro dominante dell’Unione, la Germania giocherà un ruolo significativo nei negoziati di riforma dell’Ue. E la composizione del nuovo governo determinerà alcune delle decisioni di Berlino.
In una ipotetica “coalizione Giamaica”, i Verdi, in linea di massima, sono più desiderosi di approfondire l’integrazione europea, specialmente quando si tratta della zona euro, rispetto ai conservatori e all’FDP. I liberali tedeschi hanno come cardine un rigorismo in tema di conti pubblici e questo potrebbe avere ricadute sulle politiche economiche della Merkel e, soprattutto,sui paesi dell’Europa del sud considerati “meno virtuosi” secondo i parametri Ue.
Nell’immediato, la composizione del nuovo governo tedesco potrebbe determinare in che misura quest’ultimo sarà ricettivo alle proposte di riforma che il presidente francese, Emmanuel Macron, dettaglierà domani, martedì 26 settembre. La proposta di Macron di nominare un unico Ministro delle finanze europeo come responsabile delle politiche di bilancio dei singoli Stati ha bisogno del sostegno tedesco. Tuttavia, di tutti i potenziali partner della coalizione di Merkel, i liberal democratici sono quelli che maggiormente si oppongono alle idee di Macron per l’Europa.
Al momento, dunque, non c’è da attendersi un rapido avvio delle riforme europee del duo Merkel-Macron, con la Germania che nei prossimi mesi sarà concentrata su questioni interne legate ai negoziati per il nuovo governo. In questo scenario, l’Italia guadagna qualche mese di tempo per agganciarsi al dibattito sulla riforma dell’eurozona, consapevole che un governo tedesco con i liberali e una Cdu in difficoltà non sarà un cliente facile per paesi con un alto debito pubblico.
La prossima coalizione a Berlino influenzerà anche il dibattito su una varietà di altre questioni comunitarie. La Germania, ad esempio, è ben al di sotto dell’obiettivo della NATO che i suoi membri spendano almeno il 2% del PIL per la difesa e la CDU e il Partito liberale sono a favore di un aumento delle spese militari, così come del lancio di una vera e propria politica europea di difesa, una posizione criticata invece dai Verdi. Per quanto riguarda i negoziati sulla Brexit, la maggior parte dei partiti tedeschi è favorevole a raggiungere un accordo con il Regno Unito a patto che il futuro rapporto del blocco con Londra dia meno benefici di quelli derivanti dall’adesione all’UE.
Numerosi, quindi, i dossier di questo imminente quarto mandato per la Merkel che, più dei precedenti, ci consegnerà quella che sarà la sua eredità politica.