Storia di un divorzio annunciato che non avvantaggia in vista della contesa elettorale. E il “Rosatellum 2.0” potrebbe peggiorare la situazione…
Storia di una rottura annunciata. Così si potrebbe riassumere la collaborazione forzata tra Giuliano Pisapia e Articolo 1 – Mdp, naufragata (a meno di improbabili ricomposizioni) a circa tre mesi di distanza dalla manifestazione di piazza Santi Apostoli denominata, a posteriori con una certa ironia, “Insieme”. Com’era prevedibile, le divergenze a sinistra sono esplose per la mancata scelta, da parte dell’ex sindaco di Milano, tra l’essere concorrenti leali o avversari del Pd di Matteo Renzi, ma a onor del vero da ambo le parti non sono mancate ambiguità e contraddizioni che, giunti a questo punto, vale la pena accennare.
Per quanto riguarda il fondatore di Campo progressista, il cui prestigio mediatico è essenzialmente dovuto ai risultati positivi ottenuti da primo cittadino, ciò che fin dall’inizio ha suscitato perplessità sul suo progetto politico è la non risposta a una semplice domanda: come si può costruire un centrosinistra innovativo e discontinuo rispetto agli ultimi anni, se il cardine di questa ipotetica alleanza sarebbe la forza autrice delle politiche che si intendono superare? In altri termini, è pensabile poter recuperare gli elettori delusi dal renzismo stringendo intese con il Partito Democratico?
Inoltre, un ulteriore fattore di debolezza dell’operazione lanciata da Pisapia è rappresentato dalla sua riluttanza ad assumere le vesti del leader (o, in subordine, del federatore), culminata nell’annuncio estivo “non mi candiderò alle elezioni Politiche“. L’impressione che si è ricavata dagli eventi delle ultime settimane è quella di una personalità interessata più alle riflessioni e alle tattiche, che non alla contesa per conquistare più voti possibili. Volendo anche in questo caso chiarire il punto, sembra quasi che l’ex sindaco di Milano stia aspettando che gli eventi (ad esempio, un esito del voto siciliano in grado di indebolire la posizione di Renzi) cambino le carte in tavola, prima di chiarire definitivamente le proprie intenzioni. Allo stato attuale, tuttavia, l’ipotesi più plausibile è che Campo progressista reciti alle prossime elezioni il ruolo della “gamba sinistra” in una coalizione egemonizzata dal Pd, data l’abilità del segretario dem nel concentrare su di sé le attenzioni dell’opinione pubblica.
Dal lato di Mdp i limiti sono forse ancor più visibili, dal momento che, al di là della contrapposizione con Matteo Renzi, i bersanian-dalemiani non hanno dimostrato di avere un progetto politico che andasse oltre generici propositi di giustizia sociale. Per quanto riguarda gli scissionisti, come si pensa di far rivivere la stagione ulivista se a priori si chiude la porta a ogni accordo con il partito che di quella tradizione, nonostante gli errori di quanti lo hanno guidato nei suoi 10 anni di vita, è erede diretto? E se l’obiettivo è realmente quello di dare vita a un nuovo soggetto che sia tanto popolare quanto di governo, perché limitarsi a un semplice “nessun nemico a sinistra”?
Per quanto riguarda, poi, il rapporto intrattenuto da Articolo 1 con Giuliano Pisapia, risulta difficile capire perché alcune scelte fondamentali (su tutte, la candidatura di Claudio Fava in Sicilia e il voto contrario alla Nota di aggiornamento del Def) siano state prese dagli ex Pd senza consultare l’ex sindaco di Milano, come se la sua presenza rispondesse più alla necessità di soddisfare delle logiche di comunicazione politica che non a un’autentica stima nei suoi confronti. Non a caso, in questi mesi non sono stati facili i rapporti tra Pisapia e i vari maggiorenti di Mdp, tanto che da più parti si vocifera che i bersanian-dalemiani sarebbero ben lieti di sostituirlo con il presidente del Senato Pietro Grasso.
Se per Campo progressista il pericolo, dal punto di vista elettorale, è quello di finire “cannibalizzati” dal Partito Democratico, per quanto riguarda i fuoriusciti il rischio è quello di finire marginalizzati in un quarto polo “duro e puro” esposto ai colpi del voto utile, che nel 2008 furono fatali alla Sinistra Arcobaleno (cartello frutto dell’intesa tra Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi). E le prospettive per Articolo 1 – Mdp si farebbero ancora più cupe nel caso in cui dovesse andare in porto l’iter del “Rosatellum 2.0” (atteso nelle prossime ore nell’Aula della Camera), dal momento che la presenza dei collegi uninominali e il ritorno delle coalizioni complicherebbe di non poco la conquista di ogni seggio.