Sostanze chimiche molto pericolose. Ci sono i piani d’azione, meno i risultati sul campo. L’audizione del ministro dell’Ambiente alla Commissione Ecomafie
All’indomani dell’annuncio della nascita dell’Agenzia Nazionale per la meteorologia e climatologia “ItaliaMeteo” con sede a Bologna, ecco che l’ambiente torna protagonista, collocandosi al centro del dibattito parlamentare.
Di prevenzione e cura del territorio, in particolare della pervasività delle sostanze inquinanti diffuse nelle acque nei territori veneti, si è discusso questo pomeriggio nell’ambito dell’inchiesta curata dalla Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati che, per l’occasione, ha incontrato in audizione il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti.
Al centro dell’intervento del responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo le c.d. sostanze PFAS (Perfluoro Alchiliche), componenti chimici relativamente nuovi nel vasto panorama degli inquinanti e di cui, al momento, non si conoscono a pieno gli effetti a lungo termine sull’ambiente e sull’uomo.
La pericolosità di tali componenti, dati alla mano, si rivela in tutta la sua insidiosa potenza. Il ministro non ha nascosto la grande preoccupazione intorno alla sempre maggiore diffusione di tali sostanze, principalmente nelle falde acquifere, primo canale di diffusione del PFAS.
È per questo che, per combattere tale fenomeno, il Ministero dell’Ambiente ha istituito un Gruppo tecnico di lavoro, il cui impegno ha portato, con il D.M. 6 luglio 2016, a definire i valori soglia superati i quali scatta il campanello d’allarme.
Adesso la palla passa alle Regioni, chiamate a monitorare (e riferire) circa la consistenza e la diffusione di tali sostanze nel proprio sottosuolo. L’azione ministeriale, per stesso riconoscimento di Galletti, pare aver posto le basi per la cura del fenomeno in esame, intraprendendo ogni possibile azione per contrastare il fenomeno in maniera efficace: dalle novità normative, alle risorse economiche, al pieno coinvolgimento delle strutture proprie del ministero nel fornire conoscenze e competenze.
Ma i risultati, almeno stante ai primi segnali, languono, anche a causa della disattenzione dei territori. Lo scorso anno soltanto quattro Regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Lazio) avevano predisposto programmi di monitoraggio per i PFAS, mentre ad inizio 2017 il Ministero ha ritenuto doveroso sollecitare la predisposizione dei piani di monitoraggio per tutte le altre realtà territoriali.
Dopo la “spinta persuasiva” del dicastero guidato da Galletti, alle quattro Regioni “virtuose” se ne sono aggiunte altre cinque (Puglia, Emilia Romagna, Friuli, Umbria e Val d’Aosta), oltre alle Provincie autonome di Trento e Bolzano.
In attesa dell’estensione all’intera penisola dei piani di monitoraggio, e al relativo consuntivo dei dati, Galletti ha dato conto della ricerca sperimentale avviata, nel 2013, in Veneto, e i cui dati esprimono bene la dimensione del fenomeno. In particolare è stato dato conto dei risultati di uno studio esplorativo di biomonitoraggio su un campione di popolazione residente in Val Padana. Tale indagine, utile a valutare le concentrazioni di PFAS nel sangue delle persone residenti in alcune aree del vicentino, ha coinvolto un’area ricomprendente 14 comuni dell’omonima provincia e il cui risultato non ha lasciato ben sperare: in alcune aree in cui la presenza industriale era molto forte, si sono registrate concentrazioni di sostanze inquinanti, nel sangue dei residenti, significativamente elevate. Sulla scorta di questi dati allarmanti, la Regione Veneto ha deciso di avviare un Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta alle sostanze perfluoro alchiliche, che coinvolgerà nell’immediato prossimo circa 85 mila persone.
Il tema, dunque, è molto vivo, e la politica pare spesso dimenticarsene. Dalle parole del ministro, comunque, è filtrata una buona dose di speranza, oltre alla richiesta di assunzione di precise responsabilità da parte dei diversi attori coinvolti in questo difficile processo, in modo che nessuno possa sentirsi escluso da intervenire di fronte a un problema che le comunità locali vivono con comprensibile preoccupazione.