Presentato stamani a Roma. 2016 in chiaroscuro, tra ripresa economica e crollo dei miti di riferimento
Nella cornice di Villa Lubin, sede del CNEL, si è svolta stamane la presentazione del 51° Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese, puntuale momento di analisi e interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici dell’Italia.
A fare gli onori di casa il presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Tiziano Treu che ha introdotto, a margine dei saluti istituzionali, le riflessioni contenute nel Rapporto curato dal Centro Studi Investimenti Sociali che, ininterrottamente dal 1967, viene considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana.
Nella relazione del direttore generale Massimiliano Valerii si intravede una nuova speranza sociale legata, soprattutto, alla ripresa congiunturale, ma non mancano le note critiche. Aumentano le aziende quotate in Borsa, così come la capitalizzazione. Brilla il turismo, soprattutto nel comparto extra-alberghiero, anche se pesa la paura del terrorismo internazionale (ma, nonostante ciò, sono stati sfiorati i 117 milioni di arrivi nel 2016). 80 miliardi la somma spesa per la ristorazione fuori casa, cui si aggiunge una ripresa anche dei consumi culturali: più di 6 miliardi di euro per i pacchetti vacanze.
È un vero e proprio «coccolarsi di massa», una «micro felicità quotidiana» finalmente riconquistata dagli italiani. Il 78% dei cittadini afferma, in generale, che è soddisfatto dalla vita che conduce, lifestyle sovvenzionato dal low cost, dalle innovazioni digitali e anche grazie alle somme accumulate in maniera sommersa negli anni passati, in pratica acquisti in nero. Aumentano i device digitali, cresce la visione dei film online, accanto ai tradizionali consumi, come gli spettacoli e il cinema, anch’essi in crescita.
Ma accanto a un’apparente fiducia riscontrata nei consumi, appare avanzare una «strisciante crisi immateriale», lenta e silenziosa, una sensazione più sfumata di rancore. Il risentimento e la nostalgia degli italiani animano la domanda politica di chi è rimasto indietro. L’ondata di sfiducia ha investito la politica e le Istituzioni (più dell’80% della popolazione non ha fiducia nei partiti), creando la deflazione delle aspettative e la rottura del tacito patto tra generazioni che ha sostenuto la società dal dopoguerra a oggi, una convenzione sociale che fondava sulla certezza delle generazioni di domani di godere di migliori condizioni di vita rispetto a quelle dei propri genitori.
Di conseguenza gli italiani sono concentrati maggiormente su loro stessi. Cresce l’indifferenza verso il disagio sociale, si mostra un po’ di compassione ma si gira facilmente la testa dall’altra parte. Aumenta la disintermediazione, mettendo in crisi i sistemi decisionali pubblici e commerciali. Una società, dunque, che ha perso forza e capacità di immaginare i propri sogni, con una classe politica che oggi resta un passo indietro mancando di strategia.
Su questa falsariga anche il contributo conclusivo del presidente Giuseppe De Rita. Segnali deboli di un paese stanco e privo di immaginazione, anche se con una ripresa economica che, seppur da lontano, inizia ad intravedersi. Ma questo non basta. Dopo dieci anni di continuo abbassamento delle aspettative delle famiglie italiane, l’impressione è che, in ultima sintesi, «il futuro si sia incollato al presente», un tutt’uno che genera l’incapacità di immaginare un domani migliore rispetto al presente ma che, nelle più ottimistiche delle ipotesi, sarà come oggi. Un Paese che ha difficoltà ad immaginare il proprio futuro, dunque, dove le aspirazioni stentano a trovare terreno fertile. Molte le cause di questo deterioramento, prima fra tutti la polarizzazione del lavoro, la paura di non farcela e la paura di scendere giù nella scala sociale, dopo anni di costante risalita.
Sul banco degli accusati la politica, vera assente degli ultimi anni. Essa, secondo De Rita, non è stata capace di ascoltare in primo luogo se stessa e tantomeno, dopo, la società. Quella che nella classe istituzionale è mancata, infatti, è stata la forza e il coraggio di ascoltare le istanze che sono nate e cresciute nella popolazione, conducendo così, ancor di più, uno scollamento tra i Palazzi e le Piazze.