Con il ritiro di Pisapia e la rinuncia di Alfano, è ormai completo il novero dei candidati premier. Ma (salvo anomalie) nessuno arriverà a Palazzo Chigi…
Con il ritiro di Giuliano Pisapia dalla contesa e l’annuncio della non ricandidatura di Angelino Alfano (Alternativa Popolare dovrebbe decidere le proprie strategie nella Direzione di lunedì prossimo), si è con tutta probabilità definito il quadro dei principali contendenti alle Politiche di marzo 2018.
Da sinistra a destra dell’arco politico, i cittadini troveranno sulla scheda Liberi e Uguali, il Partito Democratico in solitaria o coalizzato con ‘cespugli’ di centrosinistra, il Movimento 5 Stelle e l’intesa Forza Italia-Lega Nord-Fratelli d’Italia (cui dovrebbe sommarsi una lista centrista). In base a quanto previsto dal Rosatellum 2.0, ogni partito indicherà, anche se alleato con altri, il proprio candidato premier, e anche in questo caso i giochi sono sostanzialmente fatti: seguendo lo stesso ordine, affronteranno l’imminente campagna elettorale con i galloni di leader Pietro Grasso, Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Silvio Berlusconi (con o senza sentenza di Strasburgo), Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Poiché i mesi che ci separano dal ritorno alle urne saranno segnati da toni sopra le righe e da dibattiti dove si descriveranno le prossime elezioni come cruciali per il futuro del Paese, sembra utile fare chiarezza già da ora sostenendo che, a meno di eventi anomali, nessuno degli esponenti citati poco fa arriverà a Palazzo Chigi. In base a numerose indagini condotte finora, uno schieramento per conquistare la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento dovrà andare oltre il 40% nella quota proporzionale e conquistare la gran maggioranza dei collegi uninominali (232 alla Camera e 116 al Senato). Dal momento che l’assetto della politica italiana non è più bipolare e che tutti i partecipanti alle elezioni mobiliteranno al massimo le rispettive basi, si può affermare che un simile risultato ha poche possibilità di concretizzarsi, anche per le forze (Centrodestra e M5S) che in questa fase sembrano più in salute.
Pertanto, al netto delle esigenze di propaganda e del legittimo desiderio di prendere parte a una competizione per vincerla, sarebbe corretto nei confronti dei cittadini-elettori se i partiti precisassero prima del voto le loro intenzioni qualora dalle urne non uscisse un chiaro vincitore. L’esempio della Spagna (dopo le Generali di dicembre 2015 e giugno 2016, solo la crisi dei socialisti ha evitato una nuova ripetizione delle elezioni) non è così lontano, e sarebbe il caso di non farsi sorprendere dagli eventi, se necessario anche scomponendo coalizioni ed alleanze. Tuttavia, quasi certamente ogni auspicio in tal senso sarà destinato a non concretizzarsi.