La concertazione è ormai un corporativismo surrettiziamente prolungato. Legge sul salario minimo e Legge sulla rappresentanza, tasselli indispensabili
A pochi giorni dalla firma del nuovo, ennesimo, accordo interconfederale tra le parti sociali Labparlamento ha incontrato “l’uomo delle relazioni industriali” della Fiat, Paolo Rebaudengo, per commentare i contenuti e gli eventuali effetti dell’accordo.
Quello che è emerso è che la strada per arrivare a nuove e moderne relazioni industriali è ancora lunga. Il “cambio di passo”, insomma, ancora non scatta.
L’accordo firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil nei giorni scorsi è stato definito da molti come un accordo innovativo che ridisegna le relazioni industriali in Italia: è veramente così?
“È inevitabile che chi firma un accordo lo consideri innovativo ed importante. È altrettanto naturale che venga apprezzato anche dal contesto esterno, ma nel corso della mia esperienza ho rilevato che non sempre gli accordi interconfederali hanno realmente inciso sul sistema delle relazioni industriali. Questo è accaduto soprattutto perché difficilmente gli accordi hanno trovato applicazione nella contrattazione. Saranno dunque il tempo, ma soprattutto i soggetti coinvolti direttamente nell’attuazione delle “nuove regole”, a permettere di verificare la reale portata innovativa dell’accordo”.
Lei è stato per molti anni “l’uomo delle relazioni industriali di Fiat” e soprattutto è stato colui che ha accompagnato, nel 2010, la definizione del contratto specifico di primo livello Fiat, firmato in quell’occasione da Fim Cisl, Uilm Uil, Ugl metalmeccanici, Fismic e associazione Capi quadri ma non dalla FiomCgil. Oggi invece il sindacato di Susanna Camusso ha firmato questo nuovo accordo. Cosa l’ha convinta, a suo avviso, a firmare questa volta?
“Perché o per quale motivo Susanna Camusso e la Cgil abbiano cambiato idea, come sostiene lei, credo debbano dirlo loro. Quello che so io, perché l’ho vissuto, è che nel 2010 la Fiom ha agito sotto l’influenza della paura di perdere il potere in fabbrica e poi, come sempre, pensando di alzare il prezzo del negoziato. Purtroppo però in quell’occasione non è riuscita nell’intento ed è rimasta tagliata fuori”.
La Commissione europea ha scritto nel pacchetto d’inverno del semestre europeo che l’Italia ha “squilibri eccessivi”, con un “elevato debito pubblico e dinamiche protratte di produttività debole”. Sarà questo accordo in grado di rilanciare la produttività come chiede la Commissione Europea?
“Ritengo che difficilmente un accordo interconfenderale possa essere sufficiente, da solo, a rilanciare la produttività. Penso piuttosto che per far crescere la produttività nel nostro Paese sia necessario realizzare un formale, sostanziale e radicale cambiamento delle regole delle relazioni industriali. Intendo dire che le nuove relazioni industriali hanno un percorso quasi obbligato da seguire, che passa per una regolamentazione per legge del salario minimo e per una legge sulla rappresentanza, in particolare in azienda. Un salario minimo previsto per legge potrà consentire infatti di lasciare alla contrattazione uno spazio adeguato per premiare l’effettiva produttività in azienda, mentre con una legge sulla rappresentanza si potrà finalmente riconoscere un reale potere negoziale ai lavoratori e la responsabilità di applicare i contratti approvati dalla maggioranza, impedendo boicottaggi da parte della minoranza”.
“E poi per tutti deve essere chiaro che la contrattazione aziendale può essere sostitutiva della contrattazione nazionale”.
L’accordo prevede che il CNEL misuri la rappresentanza non solo delle organizzazioni sindacali ma anche, e per la prima volta, di quelle imprenditoriali. Siamo alla vigilia dell’attuazione dell’art. 39 della Costituzione?
“Vedo molto difficile misurare la rappresentanza delle associazioni imprenditoriali, a meno che non si voglia introdurre il principio di natura assembleare che ‘uno vale uno’ ”.
“Per misurare la rappresentanza delle associazioni imprenditoriali bisogna prima definire il peso delle aziende che ne fanno parte. Al momento mi sfugge quale criterio sia idoneo a questo tipo di “misurazione”. Il numero dei dipendenti, il loro fatturato….?!”.
La concertazione degli anni ’80 e ’90 è ormai superata. I “corpi intermedi” faticano a trovare spazi in quella che è stata definita da molti “l’era della disintermediazione”. Quali saranno (o dovrebbero essere) le relazioni industriali del futuro?
“Come dicevo prima le relazioni industriali del futuro, o se vogliamo da qui in avanti, devono poggiare su una seria attività legislativa in materia di salario minimo e rappresentanza, nei termini che richiamavo. Quanto alla concertazione, credo sia divenuta ormai una forma di corporativismo surrettiziamente prolungato che ha l’obiettivo di auto legittimare le parti anziché occuparsi dei problemi reali e delle relative soluzioni”.
A breve si insedierà il nuovo Governo. Quale dovrebbe essere il primo impegno in tema di relazioni tra imprese e sindacati?
“Credo che il prossimo Governo debba avere coraggio di portare avanti alcune specifiche iniziative legislative. Non dico quali perché le ho già illustrate e mi ripeterei. Ma soprattutto credo che il prossimo Governo dovrà prioritariamente occuparsi di alcuni temi di natura prettamente economica che sono certamente urgenti per l’intero sistema Paese”.