Il discorso rivolto da neonominato premier Mario Draghi al Parlamento, in occasione della fiducia al nuovo Governo è stato segnato da prese di posizione importanti. Tra queste la scelta del registro della comunicazione, accompagnato dalla nomina di Paola Ansuini, già direttore delle comunicazioni di Banca d’Italia, con esperienza trentennale nel mondo della comunicazione istituzionale.
Lontana l’era Casalino, passato dal Grande Fratello al ruolo di portavoce e capo dell’ufficio stampa del premier Conte praticamente senza fermate intermedie, e lontani i tweet e i post gloriosi contenenti annunci “rockettari”, per dirla con la ministra a cinque stelle Fabiana Dadone. Ansuini saluta la nomina del nuovo Governo ritwittando “Draghi e la comunicazione: parlano i fatti, addio retroscena”.
Dalla scelta fatta da Draghi ci si aspetta un cambio di passo nei contenuti e nello stile della comunicazione: si parla quando si ha qualcosa da dire, pochi social e niente dirette facebook (per dire: la Banca d’Italia nemmeno ce l’ha una pagina Facebook). E non basta, a quanto pare il premier avrebbe invitato i suoi ministri alla sobrietà nelle comunicazioni e raccomandato di moderare le dichiarazioni alla stampa, ricordando che per comunicare i dossier bisogna avere le competenze.
Indubbiamente la realtà è troppo complessa per essere ridotta a un tweet, a un post su Facebook o a un’immagine su Instagram, e una chiacchiera da bar non può diventare un atto di governo. Ma nel 2021 tornare a una comunicazione istituzionale e sobria non può voler dire “basta” all’uso dei social network e di tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione per dialogare con la comunità, tra cui anche i software di monitoraggio e l’analisi dell’impatto sul pubblico delle scelte e delle comunicazioni.
Per una singolare coincidenza il cambio di passo sulla comunicazione del premier italiano avviene negli stessi giorni in cui Facebook ha “tolto l’amicizia” all’Australia, bloccando la condivisione delle notizie come forma di ritorsione contro la legge in via di approvazione dal Parlamento australiano, che costringerebbe i colossi del web a pagare gli editori di giornali per la condivisione delle news. L’impatto ulteriore, non voluto stando a quanto dichiarato da Facebook, è stato l’oscuramente di pagine istituzionali ove vengono pubblicate informazioni essenziali sui servizi sanitari e di emergenza. Il premier australiano Scott Morrison ha reagito all’iniziativa con un post su Facebook, dichiarando che le Big Tech non possono pretendere di gestire il mondo, anche se lo stanno cambiando.
L’iniziativa assunta da Facebook è stata di grande impatto, tuttavia in linea con le prese di posizione delle Big Tech in occasione dell’approvazione in Europa della direttiva sul copyright. Va notato come le posizioni dei due premier, agli antipodi non solo geograficamente, rappresentino due facce della stessa medaglia. Il premier italiano richiama a sé la comunicazione istituzionale, il premier australiano dibatte con facebook perché la mancata accettazione da parte di quest’ultima, che non vuole delle regole imposte da uno stato, ha un impatto sulla diffusione di comunicazioni istituzionali.
Non c’è dubbio che i social media abbiano un potenziale comunicativo incomparabilmente superiore ai media tradizionali, per la loro immediatezza, per la capacità di diffusione, per la facilità di relazione con i cittadini. Il loro uso permette di costruire una narrazione e un confronto, anche su temi comuni, auspicabili nei paesi democratici, consentendo ai cittadini di assumere un ruolo di utenti attivi e contribuendo così alla formazione di un’opinione pubblica condivisa, anche oltre i confini nazionali.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce a tutti i cittadini il diritto di essere informati sulle questioni europee: ciò comporta la necessità di una comunicazione efficace. E’ per questo che le istituzioni europee utilizzano i social media per agevolare la partecipazione dei cittadini dell’Unione, mettendo a disposizione link di istituzioni, attori europei, eventi, progetti, politiche disponibili sui social network (Facebook, MySpace, Hyves, Linkedin), servizi di microblogghing (Twitter, blip) siti di photosharing (Flickr, Picasa) e di videosharing (Daily Motion, YouTube, Vimeo).
Per quanto riguarda l’Italia, le amministrazioni pubbliche hanno precisi obblighi di trasparenza e comunicazione verso i cittadini, tuttavia le norme sono rimaste ferme all’epoca in cui esistevano soltanto siti web. Ciò nonostante già da alcuni anni i social network sono diventati di uso comune nell’amministrazione pubblica: sia per diffondere informazioni e promuovere eventi e iniziative; sia per creare spazi di dialogo con i cittadini e valutare la soddisfazione degli utenti su servizi ed attività istituzionali.
I risultati non sono mancati, infatti, da una ricerca svolta nella primavera 2020, in piena emergenza pandemica, dall’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social e Istituto Piepoli emerge che l’80% dei cittadini considera l’utilizzo delle piattaforme molto efficace per ricevere informazioni dagli Enti Pubblici, mentre per il 70% i canali ideali per le comunicazioni istituzionali sono Facebook e simili. Tutto bene dunque? Forse no e la scelta apparentemente in controtendenza del premier Draghi può essere sintomo di una revisione delle regole del gioco.
D’altra parte il conflitto tra il Governo australiano e Facebook è un campanello d’allarme che deve far riflettere. L’uso per le comunicazioni istituzionali dei social network di proprietà di imprese private, comporta inevitabilmente l’accettazione di regole sulle quali le istituzioni non hanno alcuna influenza. Questo vale per le istituzioni degli Stati Uniti, dove sono basate le principali piattaforme social e di condivisione, e ancor di più per le istituzioni di altri paesi.
Merita ricordare il blocco dei profili di Trump, quando ancora era presidente di quel paese, da parte di Twitter e Facebook; la rimozione del social network Parler di estrema destra dagli app store di Google e Apple; la sospensione dell’account streaming da parte di Amazon; l’eliminazione di contenuti postati da Trump, ritenuti di incitamento all’odio, da parte di You Tube, Twitter e altri. L’uso dei social network per le comunicazioni istituzionali non è sufficiente a raggiungere tutti, se si pensa che i social network non hanno le caratteristiche di accessibilità necessarie per i diversamente abili.
In mancanza di regole chiare, e di competenze adeguate, l’uso dei social network può distorcere il contenuto delle comunicazioni istituzionali e farne mettere in discussione la correttezza. Forse è arrivato il momento di chiedersi se le regole della buona comunicazione e informazione debbano tornare ad essere decise dalle istituzioni pubbliche.