Nato male e finito peggio, il social network di “Big G” chiude definitivamente i battenti, tra scarso utilizzo e falle nella sicurezza. Stop definitivo il prossimo 2 aprile
di Alessandro Alongi
Si chiama Plus e, nonostante faccia parte della grande famiglia di Google, non sono in tanti a conoscerlo, benché online dal 2011. Anche a causa di questa scarsa notorietà, per il social network creato dal più famoso motore di ricerca è in arrivo il de profundis. La data che verrà incisa sulla lapide è quella del prossimo 2 aprile, momento in cui la piattaforma che voleva offrirsi come alternativa a Facebook e Twitter cesserà definitivamente di esistere.
La drastica decisione presa dal quartier generale di Mountain View era già stata annunciata qualche mese fa, ma adesso arriva l’invito ufficiale rivolto ai pochi utenti attivi ad effettuare il salvataggio dei dati presenti in questa (seppur disabitata) piazza virtuale.
Già a partire da oggi non sarà più possibile creare nuovi profili su Google Plus, mentre dai primi giorni di aprile verranno progressivamente cancellati tutti i contenuti presenti sullo sfortunato social, come foto e video. Bandiera bianca e saracinesche abbassate: anche i giganti del web falliscono, come approfondito da LabParlamento qualche tempo fa.
I motivi del flop sono presto detti: innanzitutto Google Plus si presentava come una copia (brutta) dei popolari social già attivi al momento del suo lancio, primo fra tutti Facebook. Perché iscriversi ad un altro social con pochi utenti quando oggi la popolarità di ogni account viene misurata a suon di like? È mancata, insomma, la reason why capace di far apprezzare lo strumento, non essendo esso per nulla differente o interessante rispetto ai competitor. I maligni non esitano ad affermare che i pochi account attivi siamo in realtà fantasmi, usati soltanto per popolare artificialmente questa città virtuale di fatto mai decollata. Sulla carta si contano 400 milioni di utenti , ma i dati più recenti parlano di un tasso di attività dell’1% degli iscritti, con una durata media delle sessioni pari a meno di cinque secondi.
Non secondario l’aspetto della sicurezza: la piattaforma si è dimostrata subito molto vulnerabile agli attacchi esterni, incursioni che hanno prodotto negli anni qualcosa come 500 mila account violati e ripetuti furti di dati personali.
Le “rianimazioni” digitali non sono mancate, interventi che nel tempo hanno assunto le caratteristiche di veri e propri accanimenti terapeutici. Google è più volte intervenuta cercando di dare nuovi stimoli agli utilizzatori così da accrescere la platea di iscritti: tre rilasci con altrettante funzioni si sono avvicendati negli anni, arricchendo il social di novità che però non hanno fatto breccia nel cuore degli utenti, già rapiti da altri network. Nessuno sentirà la mancanza di questa creatura mai diventata adulta.
L’azienda di Larry Page non è nuova a questi esperimenti. L’obiettivo di creare una piattaforma di networking è stata sempre un’idea fissa della società americana.
Il primogenito dei social network targato Google è stato Orkut (2004), rapidamente deceduto e dalle cui ceneri è nato Google Wave (2009), seppellito appena un anno dopo per far posto a Google Buzz (2010), anch’esso inumato a stretto giro per lasciare spazio al più longevo Google+, social che però non ha concluso l’adolescenza.
L’effetto domino è appena iniziato: la stessa sorte toccherà a breve al sistema di messaggistica Hangouts, costola di Google Plus e attualmente in terapia intensiva: Mountain View ne ha già annunciato la chiusura entro il 2020.
Nel cimitero dei social mai nati, ormai, risuona soltanto il Requiem.