Solo il 29% delle aziende agricole europee è gestito da donne. Un dato che in Italia arriva al 31,5%: il nostro Paese è, secondo gli ultimi dati Eurostat, al quarto posto in Europa, dopo i Paesi Baltici e la Romania. In altre parole, l’Italia ha un posto di primo piano tra le nazioni più sviluppate del continente per quanto riguarda la presenza di imprenditoria femminile. Altri Paesi ad alto reddito come Germania, Danimarca, Paesi Bassi vedono meno del 10% delle aziende agricole gestite al femminile.
I dati, tuttavia, nascondono una realtà difficile: l’82% delle donne che lavorano in agricoltura ha più di 50 anni, mentre nella stessa fascia d’età si colloca una percentuale appena minore di uomini, il 78,3%. Inoltre, i dati Istat ci mostrano che negli ultimi dieci anni si sono perse il 28% delle imprese agricole gestite da una donna e il 31% di quelle condotte da uomini. I territori che più hanno sofferto e pagato le spese di questo generale declino dell’agricoltura – asset di primaria importanza per la sicurezza nazionale come si è visto durante la pandemia e nella crisi di approvvigionamenti creata anche dal conflitto in Ucraina – sono quelli delle aree interne, i più lontani dai flussi economici e sociali.
Ma le soluzioni ci sono. Si chiamano agroecologia, agricoltura di qualità, biologico, innovazione tecnologica legata ai territori e anche ai singoli campi. Processi non solo tecnici ma anche e soprattutto sociali, in cui le donne possono essere delle vere e proprie protagoniste. È quanto emerge dal convegno “Agricoltura, sostantivo femminile” organizzato dal gruppo Socialists&Democrats del Parlamento europeo che si è tenuto oggi a Terni, e che ha visto la partecipazione dell’europarlamentare umbra Camilla Laureti, assieme (tra gli altri) alla Commissaria Europea all’Eguaglianza Helena Dalli, all’europarlamentare Paolo De Castro, alla presidente di Slow Food Barbara Nappini, alla segretaria Flai.Cgil nazionale Tina Balì, alla presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini e al vicepresidente della CIA Matteo Bartolini.
“Donne, aree interne e agricoltura sostenibile hanno in comune la mancata rappresentazione della loro forza, delle loro qualità così come dei loro problemi e degli ostacoli che si frappongono alla loro valorizzazione. Oggi siamo nella condizione di poter cambiare questa situazione: c’è un forte impegno europeo nella chiusura del gender gap e nel rilancio dell’agricoltura come protagonista dell’economia e della transizione ecologica. L’attività agricola produce oggi l’11% delle emissioni di gas serra: il percorso verso l’agroecologia, così come disegnato dalle Strategie Farm to Fork e Biodiversità, punta alla rinascita delle aree rurali interne, alla trasformazione dell’agricoltura in una attività di contrasto alla crisi climatica e di valorizzazione delle donne proprio come fattore della necessaria innovazione sociale”, dice Camilla Laureti europarlamentare italiana S&D, organizzatrice dell’incontro.
“I dati dimostrano che esiste una situazione di svantaggio delle donne in agricoltura, soprattutto in zone rurali remote”, esordisce la Commissaria Europea all’Eguaglianza Helena Dalli nel suo videomessaggio di apertura del convegno. “Nella Ue solo il 30% della forza lavoro impiegata in agricoltura è costituito da donne. E sono molte meno, rispetto agli uomini, le donne che possiedono un terreno agricolo. Questo probabilmente perché le donne hanno meno accesso al credito rispetto agli uomini. Nell’Unione Europea, il divario occupazionale medio tra donne e uomini ammonta a oltre 12 punti percentuali e, cosa ancora più grave, il reddito medio femminile è molto inferiore a quello maschile. Questa situazione deve cambiare”. Per questo, sottolinea Dalli, nel giugno scorso sono partiti i negoziati per la nuova direttiva sulla trasparenza contributiva, per applicare il principio di parità tra generi.
Secondo lo studio “The professional status of rural women in the Eu”, commissionato dalla commissione sull’uguaglianza di genere dell’europarlamento (FEMM) nel 2019, “si sta verificando un nuovo fenomeno in alcune regioni europee che vede donne ben istruite trasferirsi in campagna per svolgere le loro attività professionali. Hanno maggiore consapevolezza della disuguaglianza di genere, maggiore potere contrattuale. Dunque, ottengono migliore conciliazione tra lavoro e vita privata con i loro partner. Stanno costruendo nuove società rurali cambiando le norme sociali riguardanti le responsabilità familiari”.
L’Ocse stima che ridurre il gap di genere entro il 2030 potrebbe produrre un aumento del 12% nell’economia globale, e che una buona parte di questo passo in avanti si avrebbe in agricoltura. Infatti, se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse produttive degli uomini, potrebbero aumentare i raccolti nelle loro aziende del 20-30% e aumentare di conseguenza la produzione agricola totale.
“Il maggiore coinvolgimento delle donne nelle zone agricole e rurali porterebbe a un miglioramento del loro status sociale e a nuove opportunità di lavoro, in particolare nel campo della gestione sostenibile delle risorse naturali, dell’istruzione, dei servizi di divulgazione, delle alleanze sociali e professionali”, si legge nello studio FEMM. Le donne in agricoltura possono essere un importante motore di cambiamento verso l’ecosostenibilità. Ma per metterle in condizione di spingere verso il cambiamento occorre un’azione politica decisa a livello europeo e nazionale.
“Sono due gli obiettivi che vogliamo raggiungere in questo scorcio di legislatura europea”, spiega Camilla Laureti. “Prima di tutto, un canale privilegiato di accesso al credito per le donne che rilevano e gestiscono un’azienda agricola, particolarmente se si trova in aree interne e se si sceglie la strada dell’agroecologia e del biologico. In secondo luogo, vogliamo lanciare e sostenere strumenti creativi di innovazione tecnologica. Agricolture di punta come il biologico hanno maggior bisogno di tecnologie avanzate: si deve passare da regole uguali per tutti, come quelle che finora hanno spinto verso l’uso eccessivo di prodotti chimici nei campi, a trattamenti che tengano conto delle caratteristiche specifiche dei terreni, delle condizioni meteorologiche e geografiche. Per questo, oltre alle conoscenze tradizionali che sono comunque di estrema importanza, occorrono investimenti decisivi: previsione attraverso processi di intelligenza artificiale, macchinari e trattori che non usano la benzina ma biocombustibili, energie rinnovabili di ultima generazione. Ma nessuna piccola azienda delle aree interne italiane ha le risorse per accedere a questi strumenti: per questo ci impegneremo per avviare nuove forme di sharing delle tecnologie e dei macchinari innovativi. Non solo cooperative e consorzi, ma anche vere e proprie ‘comunità dell’innovazione’ che possano condividere le tecnologie necessarie per la sostenibilità economica e ambientale delle aziende agricole”, conclude l’europarlamentare.
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