Nonostante io sia un tiepido tifoso milanista, chi mi conosce sa bene che non parlo quasi mai di calcio. Men che mai ne scrivo su una qualche testata di quelle con cui collaboro. A dire il vero neanche questa volta farò eccezione, anche se in queste righe parlerò molto di AC Milan, dove AC sta per Associazione Calcio.
Lo farò, perché quanto accaduto in questi giorni nella più vincente società calcistica europea dopo il Real Madrid, con l’inattesa cacciata del direttore tecnico Paolo Maldini, avvenuta con un asettico comunicato del presidente rossonero Cardinale, è un rivoluzione epocale, che ha ben poco a che fare con le dinamiche di una società sportiva e molto con la rivoluzione sociale e tecnologica in atto nel nostro mondo.
Parecchio si è già scritto riguardo allo shock avuto da giocatori e tifosi, per un allontanamento arrivato come un fulmine a ciel sereno, dopo un’annata calcistica tutto sommato positiva. Nessuno si attendeva la cacciata di un uomo che porta un cognome che da generazioni è sinonimo di Milan: prima il padre Cesare, capitano milanista negli anni sessanta, poi lui, per non parlare del figlio Daniel, anch’egli esordito in serie A lo scorso anno, proprio con la maglia a strisce rosse e nere.
Il divorzio improvviso fra Maldini e il Milan – come si è giustamente detto da più parti – è il sintomo evidente del fatto che le bandiere, il passato, la tradizione, l’attaccamento ai colori, oggi possono essere spazzati via freddamente, con un colpo di spugna, come se non contassero più nulla. Né paiono contare più molto la competenza, le capacità professionali, tutte cose che a Maldini erano state riconosciute, ufficialmente e a livello continentale, non più tardi di pochi mesi fa.
Era la fine di ottobre del 2022, infatti, quando Paolo Maldini, direttore dell’area tecnica dei rossoneri, vinceva il “Best European Manager”, il premio riservato al miglior dirigente calcistico del continente, sbaragliando gli agguerriti colleghi che militano in squadre ben più ricche e altrettanto prestigiose come il Bayern, il Real Madrid, il Paris Saint Germain, o il Manchester City.
Basterebbero già questi elementi per evidenziare un grosso cambio culturale, per segnalare l’avvio di un’epoca priva di cuore, in cui non solo “l’anima”, ma persino il merito e la professionalità hanno un valore vicino allo zero. Eppure queste riflessioni mettono in luce solo la punta di un iceberg ben più ampio e significativo.
Quando, a inizio giugno, con un comunicato di una freddezza glaciale – glaciale come un iceberg, per l’appunto – la società Milan ha liquidato Maldini in quattro righe, ringraziandolo “per il suo contributo in questi anni, con il ritorno del Milan in Champions League e con la vittoria dello Scudetto nella stagione 2021/22”, la dirigenza milanista ha anche aggiunto che “le sue responsabilità saranno assegnate a un gruppo di lavoro integrato”.
Dunque, non si tratta di una storia “vecchio stampo”, una di quelle in cui un qualche professionista, magari bravo o anche bravissimo, però antipatico al presidente della società, viene sostituito da un qualche altro tizio, forse meno bravo ma più gradito alla dirigenza. Di storie così se ne sarebbero già viste a dozzine. Qui però la faccenda è molto diversa. Maldini, infatti, non viene sostituito da un qualche “yes-man” amico del capo, bensì da “un gruppo di lavoro integrato”.
Che significa esattamente “un gruppo di lavoro integrato”? Significa che le sue competenze vengono sostituite da un algoritmo. È il cosiddetto metodo “Moneyball”, già sperimentato negli USA nel campo del baseball, grazie alle folgoranti innovazioni visionarie di un tale Billy Beane, uomo del gruppo “RedBird”, cioè di quella nuova proprietà del Milan che fa capo a Gerry Cardinale.
Cosa accadde, alcuni anni fa, con la squadra di baseball degli Oakland Athletics? Accadde che il vecchio modo di gestire il baseball, fu spazzato via, all’improvviso, dall’esperimento di un general manager – Billy Beane per l’appunto – che si affidò completamente alle convinzioni di alcuni analisti informatici e teorici della cosiddetta “sabermetrica”, come Paul DePodesta e Bill James.
Dal giorno alla notte – esattamente come accaduto adesso al Milan con Paolo Maldini – Beane cacciò via tutti i dirigenti tecnici degli Oakland Athletics che seguivano i metodi classici, cioè quei dirigenti che, per costruire la squadra, andavano a vedere i giovani talenti di persona e operavano scelte in base alle proprie competenze tecniche e al proprio intuito.
Beane ne fece a meno e si affidò fideisticamente alle novità tecnologiche, alla sabermetrica, una scienza che applica criteri puramente statistici all’analisi delle prestazioni dei giocatori. La sabermetrica, infatti, utilizza i dati e li elabora con un algoritmo, per decidere se un atleta è sottovalutato o sopravvalutato, se vale la pena investire su di lui oppure no. A detta di Beane, questo metodo permetterebbe di mettere in piedi una squadra di campioni, spendendo solo poche lire.
Billy Beane, nel 2015, ha già provato a trasportare nel mondo del calcio queste sue teorie. Lo ha fatto in Olanda, con l’AZ Alkmaar, squadra di livello medio del campionato dei Paesi Bassi, da cui ci si poteva dunque attendere un clamoroso salto di qualità. Peccato che, dal 2015 a oggi, i campionati olandesi siano stati tutti vinti sempre e solo dalle “solite note”, cioè da squadre come l’Ajax, il Feyenoord, il PSV. Tutte compagini tradizionali, gestite con metodi “classici e obsoleti” e senza sabermetrica. Dell’atteso grande exploit dell’AZ Alkmaar non si è avuta nessuna traccia.
Da tiepido tifoso milanista, mi auguro però che l’esempio poco incoraggiante dell’AZ Alkmaar non faccia assolutamente testo e che, grazie alle meraviglie della sabermetrica, il Milan possa ora mettere in piedi una squadra di fenomeni, capaci di vincere in pochi anni sette campionati italiani, cinque coppe dei campioni, altrettante supercoppe europee, oltre al mondiale per club. Al momento non è ancora possibile saperlo. L’unica cosa certa, è che esattamente questo è il palmarès personale proprio di quel Paolo Maldini prima citato, uomo troppo poco “sabermetrico” e pertanto da pochi giorni giubilato dal Milan.
Resta per questo forte la sensazione che la vicenda Maldini, sia una sorta di “anteprima”, di prova generale per un’irreversibile grande virata tecnologica, scientista e finanziaria, da attuare anche nel mondo dello sport, una grande virata tecnologica, le cui “magnifiche sorti e progressive” restano però ancora tutte indimostrate.
C’è anche la sensazione che, in nome di questa sorta di “ubriacatura algoritmica”, nel Milan così come nella nostra società nel suo complesso, sia stiano eliminando un po’ troppo in fretta, senza riflettere sulle possibili conseguenze, la competenza, l’intuito, la creatività, così come il passato, le radici, l’anima stessa della nostra cultura e della nostra essenza di esseri umani, per dare spazio a numeri, statistiche, la cui presunta asettica e insindacabile efficacia scientifica, non sembra però dare quei frutti sperati e annunciati in pompa magna.
È un fenomeno preoccupante, che va ben oltre la vicenda Milan, sui cui effetti nefasti – che al momento mi pare di scorgere – spero sinceramente di potermi ricredere a breve, magari leggendo la classifica finale del campionato di calcio 2023/24, che vedrà sicuramente i rossoneri al primo posto, grazie proprio all’infallibile sabermetrica, rendendomi così felice, non solo come tifoso, ma anche come sincero ammiratore del metodo scientifico.
Quel metodo scientifico che, ultimamente, mi pare venga sempre più spesso citato a sproposito, quasi confuso con la fede, quella che non ha bisogno, per crederci e seguirla anima e corpo, di nessun riscontro empirico e di nessuno scudetto olandese vinto dall’AZ Alkmaar. Basta solo trovare un nome accattivante come “sabermetrica” e il gioco è fatto. Se il gioco del Milan poi migliorerà con altrettanta facilità, su questo permettetemi, per ora, di nutrire qualche dubbio.