Il suo video sui “10 luoghi comuni da sfatare su Alitalia” è diventato virale. Inoltrato migliaia di volte nelle chat dei dipendenti interessati alla tutela del posto di lavoro, anche di schieramento opposto, è giunto sui tavoli che contano. Quello del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti con cui ha un rapporto diretto. Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, deputato di Fratelli d’Italia ha uno stile tutto suo. Quando afferra un osso non lo molla. Così fa per Amazon, non c’è un giorno che non faccia un comunicato contro lo strapotere del gigante elettronico, e così sta facendo per la tutela e il rilancio di Alitalia, sul quale si sta impegnando partecipando a continue manifestazioni ma soprattutto redigendo dossier coadiuvato da tecnici, docenti universitari, manager della compagnia di bandiera.
On. Rampelli, in quel suo video lei ha dato una lettura completamente alternativa alla vicenda Alitalia, sostenendo la necessità di un intervento dello Stato. Eppure, il problema di come rendere competitiva un’azienda, che rispetto ai concorrenti ha costi di gestione molto più alti, resta.
In realtà i costi di Alitalia fuori controllo sono stati individuati ma in quattro anni di commissariamento non sono mai stati ristrutturati. Se la compagnia riporta questi costi sotto controllo (in particolare le spese per i leasing degli aerei, l’acquisto del carburante e la manutenzione) può stare agevolmente sul mercato con le proprie gambe. Non bisogna poi dimenticare ciò che rende Alitalia unica nel panorama mondiale: la compagnia più puntuale del mondo, il record di sicurezza, la qualità di piloti, operai specializzati e assistenti di volo e l’esperienza sedimentata in settant’anni di attività nei quattro angoli del globo, che fanno invidia alle altre compagnie. Solo per fare un paragone, guardiamo il record di sicurezza di Air France e confrontiamolo con Alitalia: i cugini d’Oltralpe non ne escono bene. Il problema è tutto nelle forniture che in questi anni sono state regolarmente fuori mercato.
Eppure lo Stato è già intervenuto varie volte a favore della compagnia, che cosa non è andato per il verso giusto?
Anche qui la lettura è parziale. Lo Stato ha speso molto con la cassa integrazione che esso stesso ha creato. Non solo. Nessuno mette in conto che un’azienda che fattura cinque miliardi di euro l’anno paga solo di iva un miliardo nelle casse dello Stato. Inoltre, versa anche l’Irpef sugli stipendi dei dipendenti. Quindi, se contiamo quanto l’azienda ha versato nelle casse dello Stato ci rendiamo facilmente conto che è stato un affare e non una perdita per la collettività. Senza contare l’enorme valore dell’indotto. In sintesi, lo Stato ha recentemente speso soldi per ridimensionarla, non per svilupparla.
Che problema c’è con Ita?
Alitalia ha ancora tutte le certificazioni per volare sulle tratte internazionali. Se invece faranno partire ITA molto probabilmente queste certificazioni non saranno rilasciate prima di un lasso di tempo significativo. Poi, consideriamo che nel mondo c’è un’altra Italia, coloro che sono emigrati o discendenti dei nostri stessi antenati e sono sessanta milioni. Quindi possiamo contare sulla fedeltà dei nostri connazionali all’estero che vogliono volare con il tricolore sulla coda. Ecco, perché privarsi di questo simbolo dell’italianità nel mondo, come il logo Alitalia, lo ritengo una follia. E questa follia è stata voluta dalla Commissione che, tra le varie condizioni per rilanciare Alitalia, vuole una minicompagnia aerea con un altro nome. Alitalia è un marchio che da solo vale miliardi di euro. È evidente che all’Europa dà fastidio non solo Alitalia ma anche tutto ciò che essa rappresenta: l’eccellenza italiana. Immagino un avvoltoio girare sopra le nostre rotte aeree per accaparrarsi i flussi turistici miliardari senza tuttavia offrire ciò che Alitalia ha offerto agli italiani anche in questa fase pandemica.
A che si riferisce?
Quando nei cieli d’Italia non girava un volo, Alitalia è andata a recuperare i nostri connazionali nelle aree del contagio per riportarli in madrepatria. Si è occupata del trasporto degli organi per trapianti, di malati in barella e disabili. Insomma, svolge un servizio pubblico universale che compagnie aeree straniere si potrebbero rifiutare di svolgere. Lo Stato, inoltre, deve garantire la copertura territoriale delle aree economicamente meno ricche, solo una compagnia di bandiera può garantire a tutti i passeggeri il diritto costituzionale alla mobilità. I voli Alitalia sono quindi considerati “servizio pubblico essenziale” dove la parola chiave è l’ultima, ‘essenziale’.
La UE proibisce sovvenzioni da parte dello Stato alle compagnie aree pubbliche. Come la mettiamo?
Non è esatta come affermazione poiché lo Stato imprenditore è una possibilità prevista dalle norme europee, ma deve operare secondo criteri di mercato come se fosse un normale imprenditore privato. Il taglio del personale dipende dalle dimensioni della flotta. In funzione di quanti aerei si vogliono far volare ci sarà un numero di dipendenti impiegati. Il punto è proprio questo: l’Europa sta imponendo delle condizioni capestro che tarpano le ali della futura compagnia. Basti considerare la differenza di ristori che l’Ue ha riconosciuto all’Air France, 4 miliardi, a Lufthansa, 11 miliardi e all’Alitalia, 297 milioni di euro.
Sul tema ieri ha lanciato la proposta per riaprire il bando per acquistare di nuovo gli asset. Di cosa si tratta?
Un bando è stato già aperto l’anno scorso, precisamente il 5 marzo 2020, ma è stato sospeso con l’arrivo del COVID. Dato che mancavano due giorni alla scadenza naturale del bando, teoricamente si potrebbe riaprire la gara, per due giorni, acquistare tutti gli asset, il logo, il marchio, far transitare aerei e personale nella nuova realtà, e battere la concorrenza sul tempo. In questo modo rispetteremmo le regole europee, eviteremmo esuberi marziani, che in Alitalia non esistono, sono solo frutto di un inaccettabile pregiudizio, e come effetto collaterale potremmo disporre anche dei tre miliardi stanziati per la partenza di ITA. Direi che è indispensabile valutare questo percorso perché non possiamo lasciare le nostre rotte turistiche, tra le più appetite al mondo, alle compagnie straniere né accettare un compromesso al ribasso con una minicompagnia imposta da Bruxelles.
Insomma, anche qui Fratelli d’Italia rivendica la centralità degli interessi della nazione.
Guardi, la chiami pure sovranità dei cieli, che per il caso Alitalia diventa sovranità del trasporto aereo. L’Italia non può andare in Europa con il cappello in mano e accettare di tagliare un asset strategico come una compagnia di bandiera. Siamo il secondo Paese manifatturiero, con un’industria florida come il turismo e dobbiamo farci dire dagli altri come portare turisti, imprenditori e merci in Italia? L’Italia che cede il trasporto aereo a terzi è come l’Arabia Saudita che cede la gestione dei pozzi alla Cina.