Come più volte ribattuto dal nostro giornale, il COVID-19 non è solamente un’emergenza sanitaria. Lavoro ed economia stanno vivendo la crisi più nera della storia, almeno dal secondo dopoguerra.
Siamo abituati a vedere nei contenitori televisivi interviste e testimonianze di imprenditori di piccole e medie imprese, padri e madri di famiglia costretti a raccogliere le vesti stracciate dalla pandemia e a fare i conti con il soldo che non c’è più. Un’immagine alla quale non sarà mai facile abituarsi. A confermare il declino inesorabile dell’economia italica è l’Ufficio Studi CGIA, Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, che in una recentissima analisi datata 6 febbraio lancia il grido di allarme più forte e che desta maggiore preoccupazione: lo sblocco dei licenziamenti porterà alla perdita di 2milioni di posti di lavoro.
L’analisi si basa sull’andamento medio del fatturato 2020 e sviscera i dati di quei settori che maggiormente hanno sofferto le conseguenze delle chiusure dovute al COVID. Dati drammatici: agenzie di viaggio e tour operator segnano un -73,2%, attività artistiche, palestre, piscine, sale giochi, cinema e teatri -70%, alberghi e alloggi vari -53%, bar e ristoranti -34,7%, noleggio e leasing operativo il -30,3% attività di commercio e riparazione di autoveicoli il -19,9%.
Percentuali a parte, per parlare più alla pancia, i dati sono questi: a rischio quasi 300 mila micro imprese e 2 milioni di addetti. Tradotto ancor più semplice: persi 150miliardi di Euro. Insomma, il quadro è davvero drammatico, più di quanto si fosse mai potuto lontanamente immaginare. Un’analisi che giunge proprio in questi giorni, alle soglie del primo anniversario dall’entrata ufficiale in pandemia.
Una situazione che, secondo l’analisi dell’Ufficio Studi CGIA rischia di alimentare il mercato del lavoro nero. A cercare di fronteggiare la perdita di posti di lavoro, quindi, ci penserà il lavoro del “senza contratto – senza diritti – senza tutele – ma comunque un’entrata”.