Il tema della sostenibilità è sempre più presente nell’agenda di investitori e policy maker. La transizione verde necessita di ingenti finanziamenti ed il settore bancario gioca un ruolo fondamentale in questo processo. A confermarlo uno studio condotto dall’Università “La Sapienza” dal titolo Banks and Environmental, Social and Governance Drivers: Follow the Market or the Authorities?, che mette in luce le principali motivazioni che inducono le banche ad attuare scelte in favore dell’ambiente e del sociale.
Mario La Torre, Ida Panetta e Sabrina Leo, hanno studiato un campione composto da 43 banche (quotate sullo STOXX Europe 600) rappresentative di 14 Paesi europei. I risultati confermano come le iniziative avviate dagli intermediari bancari in tema di finanza sostenibile non siano correlate né a miglioramenti di performance, né a significativi apprezzamenti dal mercato.
L’input delle autorità di vigilanza di puntare tutto sui rischi climatici ed ambientali sembra, al momento, essere la determinante più convincente per spingere le banche a sostenere la transizione green. Nello studio dei tre ricercatori emerge uno spiraglio di ottimismo, valido anche per i banchieri più tradizionali: implementando convinte strategie di sostenibilità, la correlazione positiva tra i fattori ESG (Environment Social and Governance) e l’EVA spread (Economic Value Added) lascia intendere che i fattori ESG possano essere una importante leva di creazione di valore.
Introdotto nel 2004 l’ESG ha da sempre riscosso notevole interesse da parte degli studiosi ed esperti del settore. L’indicatore ESG viene utilizzato nell’ambito del Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità sociale d’impresa, ossia della visione aziendale orientata a condividere il valore generato dal business con la società civile, gli individui e l’ambiente, accanto ai più tradizionali indicatori del settore bancario come il TIER 1, che riguarda la capacità della banca di assorbire perdite inaspettate, o l’LTD (Loan to Deposit) che esprime l’indice di liquidità della banca.
Gli studi riguardanti l’applicazione dell’ESG sono recenti infatti risalgono alle recenti crisi che hanno investito l’intero settore a partire da quella del 2008 dei mutui subprime. Tra il 2015 e il 2020 però solamente il 40% degli studi sull’ESG si è focalizzato sul settore bancario, generando peraltro risultati piuttosto contraddittori, mentre in altri settori industriali hanno avuto un riscontro positivo.
Al fine di comprendere appieno i rischi dei rispettivi portafogli, gli investitori devono integrare l’analisi ESG nel loro processo di investimento. I pilastri di uno Stato, ovvero governo, legislazione, sistema giudiziario e banca centrale, differiscono notevolmente in questo universo. Gli investitori devono prevedere anche l’analisi politica, da cui ESGP. L’analisi ambientale, sociale e di governance (ESG) si è diffusa tra gli investitori in azioni e obbligazioni corporate.
Tuttavia, sono pochi coloro che applicano la stessa analisi ai titoli di Stato, penalizzata dalla limitata disponibilità e dalla scarsa qualità dei dati in tale ambito. La valutazione dei rischi politici è fondamentale per comprendere il rischio complessivo per gli investitori obbligazionari nelle economie emergenti. I Paesi con istituzioni statali più solide sono intrinsecamente a basso rischio. Anche le riforme che migliorano la trasparenza, riducono la corruzione, rafforzano l’indipendenza della banca centrale e tutelano i diritti degli investitori internazionali incrementano la sostenibilità del debito.
Gli intermediari predispongono un piano di emergenza (Contingency Funding Plan, CFP) per fronteggiare situazioni avverse nel reperimento di fondi. Il CFP definisce le strategie di intervento in ipotesi di tensione di liquidità, prevedendo le procedure per il reperimento di fonti di finanziamento in caso di emergenza.
Il lavoro svolto dai tre ricercatori de La Sapienza, suggerisce tre livelli di azione future: 1) sul piano della ricerca, occorre produrre ulteriori evidenze, ed avanzare sul terreno dei modelli di contabilità integrata che leghino le variabili finanziarie ai fattori ESG; 2) sul piano della regolamentazione, occorre, tra l’altro, creare un quadro armonizzato di rating ESG ed incentivare business models impact-oriented; 3) sul piano del business, occorre migrare dal risk management a strategie e business model ESG-driven. Lo studio è disponibile open source al link: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/csr.2132?af=R.