Domenica 8 giugno, con il ballottaggio delle elezioni amministrative, si è chiusa una lunga parentesi elettorale iniziata il 25 maggio con il relativo primo turno e soprattutto con le elezioni europee.
A ridosso del 25 maggio, l’establishment politico ed economico italiano era stato scosso dall’inchiesta sulle presunte tangenti per gli appalti dell’EXPO 2015, la stessa sorte è toccata al ballottaggio, questa volta con le indagini della magistratura sul presunto giro di tangenti per il MOSE di Venezia. Ennesimi duri colpi inferti alla credibilità (e alle finanze, trattandosi di appalti pubblici) dell’Italia e della sua classe politica (e imprenditoriale).
Venendo ai risultati del ballottaggio, il centrosinistra si conferma come il vincitore della tornata elettorale (conquista 160 comuni sopra i 15000 abitanti, contro i 37 del centrodestra e i 2 del M5S) ma deve registrare la storica sconfitta nelle roccaforti di Livorno (dove vince il M5S) e di Perugia (passata al centrodestra). Stessa cosa vale per il centrodestra a Pavia, dove l’uscente Cattaneo («sindaco più amato d’Italia», secondo il Governance Poll 2013) di FI è stato sconfitto da Depaoli del PD. Questi tre casi possono essere interpretati come paradigmatiche conferme di quanto sia ormai diffusa, pressante e urgente la richiesta di un ricambio (non solo generazionale e non solo interno ai partiti) della classe dirigente.
I dati economici intanto raccontano un’Italia ancora in stato di estrema sofferenza, con la disoccupazione che non accenna a diminuire e il PIL in sostanziale stallo. Tra meno di un mese inizierà anche il semestre di presidenza italiana dell’UE: un’occasione da non fallire.
In queste condizioni, l’Italia non può permettersi altri passi falsi, sia sul fronte interno che su quello europeo e internazionale.