Sta facendo scalpore l’accordo sottoscritto qualche giorno fa tra Google e la catena ospedaliera americana HCA Healthcare finalizzato a sviluppare algoritmi sanitari utilizzando le cartelle cliniche dei pazienti. Grazie all’intesa, Google entrerà in possesso di milioni di dati sanitari digitali e dei dispositivi medici connessi a Internet, così da migliorare le decisioni dei medici grazie all’Intelligenza artificiale. Con buona pace della privacy.
Solo per dare un’idea del fenomeno, nei 2000 centri sanitari Hca disseminati in 21 stati americani, ogni anno, vengono effettuate 32 milioni di visite. Anche se la struttura, sul tema della riservatezza, ha messo subito le mani avanti: “Parte di ciò che stiamo costruendo è un sistema nervoso centrale per aiutare a interpretare i vari segnali” ha dichiarato Jonathan Perlin, chief medical officer di Hca. “I dati dei pazienti saranno oscurati da ogni paziente in tempo reale”.
L’accordo tra Google e HCA, in realtà, non è una novità in questo settore. Già nel 2019 il celebre motore di ricerca aveva dato il via al progetto “Usignolo” attraverso il quale il gigante californiano insieme ad Ascension (uno dei più grandi network sanitari USA) ha raccolto informazioni sanitarie dettagliate su 50 milioni di pazienti americani, senza nessun preventivo consenso, scatenando anche un’indagine federale e gli strali da parte di pazienti e politici.
Nella pratica la società fondata da Larry Page e Sergey Brin aveva ottenuto milioni di dati relativi allo stato di salute di ignari pazienti assistiti nelle cliniche di Ascension – malattie, terapie e prescrizioni farmacologiche – utilizzati successivamente per migliore il proprio algoritmo di Intelligenza artificiale e perfezionare l’assistenza sanitaria predittiva. Peccato che – mentre Ascension condivideva con Google nomi, test di laboratorio, diagnosi e storie mediche – nessun paziente sapesse nulla di tutto ciò.
Negli USA la normativa alla base del trattamento dei dati sanitari è l’HIPAA (l’Health Insurance Portability and Accountability Act), una legge federale risalente al 1996 che, se da una parte stabilisce regole per la diffusione dei dati sanitari, dall’altra permette tale condivisione verso soggetti terzi che poco hanno a che fare (o almeno in apparenza) con la cura e il sollievo del dolore.
Ma Google non è l’unica realtà impegnata in questo settore. Anche altri giganti della tecnologia come Amazon ed Apple stanno provando ad entrare nel business della sanità digitale, ma per farlo appare fondamentale possedere le informazioni su milioni di pazienti, come ad esempio le cartelle cliniche elettroniche, preziosi documenti che contengono dati su diagnosi, prescrizioni e altre informazioni mediche.
Facebook ad esempio, sfruttando l’IA, ha annunciato che sta per mettere in commercio una nuova tecnologia capace di effettuare una risonanza magnetica dieci volte più velocemnete delle normali tecniche ospedaliere oggi disponibili; sempre Google, grazie alla collaborazione con diversi ospedali inglesi, ha messo a punto una tecnica basata sull’Intelligenza artificiale in grado di diagnosticare più di cinquanta disfunzioni oculari con una precisione del 94%; Apple sta investendo ingenti risorse sui device indossabili, in grado di effettuare un elettrocardiogramma in real time. Amazon, ancora, sta per apparecchiarsi al tavolo di un business da oltre 4 mila miliardi di dollari l’anno, ovvero la vendita di farmaci da banco, rigorosamente online. Non sappiamo ancora quale sia la politica privacy alla base di tali servizi. Intanto forse meglio non ammalarsi: una mela al giorno non toglie Apple di torno.