“Un semaforo!” Ve la ricordate la vecchia imitazione di Romano Prodi, fatta da Corrado Guzzanti? “Il semaforo! Sotto il semaforo tutte le macchine corrono, devono andare, sfrecciano, sbuffano, fanno le corna al finestrino. Il semaforo sta fermo, tranquillo, governa in mezzo alla strada. La situazione è sotto controllo, nessuno lo muove, immobile. Il semaforo!”. Era con queste parole e con questa metafora, che il comico rappresentava il centrosinistra.
Col passare degli anni e la nascita del PD, il centrosinistra somiglia sempre di più all’ironica metafora del Prodi-Guzzanti. Un centrosinistra che sta lì, statico, senza fare nulla di particolarmente memorabile. Eppure è sempre lui a dare le carte. È lui a “governare il traffico”. Ed è sempre lui a risultare, in questo modo, eternamente determinante e immancabilmente vincente. Insomma: la “strategia del semaforo”, adottata – forse inconsapevolmente – da quell’area politica, si sta rivelando perfetta.
Perfetta lo è stata anche in occasione delle recenti elezioni amministrative, nelle quali il centrosinistra – che poi, altro non è, se non il PD, con qualche piccola aggiunta di micro-alleati e di sedicenti civiche, che hanno il solo scopo di aggiungere vivaci, anche se del tutto superflue, macchie di colore, per movimentare un po’ il quadro d’insieme – ha fatto un pieno di consensi, ben oltre le aspettative e, probabilmente, ben oltre i propri meriti.
Tutt’altro discorso, quando invece si guarda al centrodestra. Un centrodestra, attualmente, in piena crisi d’identità, frammentato, litigioso, come mai era accaduto in passato. Ma, soprattutto, un centrodestra che, negli ultimi tempi, gioca sempre e solo di rimessa. E anche questa è una novità. Da quando, nel 1994, Berlusconi scese in campo, compattando le forze della destra italiana, era sempre da quell’area che si dettava l’agenda politica, costringendo gli altri a inseguire, a giocare “fuori casa”, a rincorrere su temi altrui. Oggi i ruoli sembrano invertiti.
Ed è questa una delle principali cause della disfatta del centrodestra alle amministrative 2022. Il centrodestra non detta più l’agenda, perché non ha più una propria politica, ben riconoscibile. E, cosa ben più grave, non ha più una immagine di sé. Anche di quel sovranismo e di quel populismo che avevano caratterizzato Lega e Fratelli d’Italia negli ultimi anni, portandoli a superare, in alcune fasi, il 50% nei consensi degli elettori italiani – perlomeno, stando ai sondaggi – non vi è più alcuna traccia.
Il “governismo” della Lega giorgettiana, ha portato sì quel partito a ricoprire importanti incarichi ministeriali, ma ne ha contemporaneamente rubato l’anima più autentica e profonda, quella che gli aveva permesso di essere un partito di popolo e ben strutturato, molto radicato nel territorio, unico esempio del genere, in un panorama generale di raggruppamenti politici sempre più fluidi e virtuali.
Restava, forse, Fratelli d’Italia a ricoprire quel ruolo, ad accogliere lo spirito popolare e populista, in rapida fuga dal movimento del Carroccio. Ma poi, l’iper-atlantismo evidenziato allo scoppio della guerra russo-ucraina, ha sgonfiato anche le velleità di quel partito, mettendolo anch’esso in contraddizione col proprio passato, con quella destra sociale, che sul sovranismo nazionalista e su slogan come “né Usa né Urss”, aveva costruito per decenni la propria identità.
Intanto, Forza Italia prosegue, mestamente, il proprio processo d’invecchiamento, con un Berlusconi ormai troppo in là con gli anni, senza forze nuove e fresche che appaiano in grado di raccogliere il suo testimone e con un’idea liberista di cui ha definitivamente perso il copyright, essendo ormai divenuta “patrimonio comune” della politica nazionale, accolta senza problemi anche dal PD, che l’ha fatta sua, abbandonando ogni vecchio retaggio socialdemocratico.
In tutto questo, sta giocando contro il centrodestra anche il tracollo del Movimento 5 Stelle. Sembra un paradosso, visto che M5S è ormai strutturalmente alleato con il centrosinistra. Però i pentastellati avevano comunque rappresentato l’idea di un rinnovamento, di un possibile cambiamento di direzione della politica. La loro crisi, è la crisi di quell’idea, nel suo complesso. Dunque, è la crisi di ogni speranza di alternanza politica, inclusa quella di centrodestra.
Ecco spiegate anche le ragioni di quel crescente astensionismo, che si manifesta, sempre più evidente, ad ogni tornata elettorale. Chi non concorda con le politiche dell’attuale maggioranza, infatti, non va a votare per una possibile opposizione e per un’ipotesi alternativa. Semmai, sfiduciato, resta a casa, manifestando in questo modo “intimista” – e forse anche sterile, pur se psicologicamente comprensibile – il proprio dissenso.
Ciò, però, vuol dire che le potenzialità di voto per un’area populista e sovranista, resterebbero ancora teoricamente alte, se si perseguisse con coerenza quel tipo d’indirizzo politico. È un’area che resta viva e potenzialmente numerosa, ma che ha smesso di partecipare in modo attivo alla politica italiana, fosse anche solo per fare la fatica di presentarsi ai seggi.
Ci sarà qualcuno in grado di risvegliarne l’entusiasmo? Certo, ben difficilmente potrà farlo quel nuovo “Grande Centro”, che forze politiche come Azione, o come Italia Viva, ma anche ampi settori di Forza Italia, o alcuni scissionisti pentastellati, cominciano a prospettare come l’ipotesi vincente del prossimo futuro. Temo non sarà così, perché questa sedicente novità politica, somiglia molto a un bambino nato già vecchio.
Il “Grande Centro” è un’idea favolosa, di cui si vagheggia da trent’anni, cioè da quando è scomparsa la Democrazia Cristiana. Ogni tanto, chissà perché, torna di moda. A dispetto delle tante débâcle già sperimentate. Ci provarono Casini e Montezemolo, ci provarono Mastella e Monti e, per qualche tempo, ci provò persino Gianfranco Fini. Con quali risultati passati, è la storia a dircelo. Con quali possibili prospettive future, oggi, è invece il buonsenso a suggerirlo.
In questo panorama, dunque, basta essere un “semaforo”, immobile, per continuare a dirigere il traffico e a dettare le regole. Senza timore di essere sostituiti, né ora né mai, in quel ruolo. Senza bisogno di fare niente di più. Il PD lo ha capito. E, perciò, ha vinto.