D.P.R. 12 Aprile 1990 n. 75: con questo provvedimento presidenziale di amnistia si accompagnava l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, quello cosiddetto accusatorio, rispetto a quello inquisitorio, in realtà i due codici di rito penale contemplavano e contemplano, comunque, un sistema misto per garanzie presenti nel vecchio rito e per la sostanziale mai raggiunta parità tra accusa e difesa di quello vigente.
Fatto è che da 31 anni in Italia non c’è stata amnistia ed i provvedimenti di indulto che intervengono sulla sola pena, non hanno sfoltito le cancellerie degli uffici giudiziari.
Amnistia e indulto: il progetto Next Generation
Il progetto Next Generation EU ci chiede un processo più rapido, sul presupposto che sia giusto e garantista. In realtà, come correttamente riportato dal Guardasigilli, siamo un paese pluricondannato e recidivo rispetto alla giustizia della Corte EDU, ben 1.202 condanne per la ragionevole durata del processo.
La riforma del processo in generale e di quello penale in particolare si impone sia per i fondi UE sia perché l’Italia, la culla del diritto, non può permettersi questo record poco edificante. Fin qui nulla quaestio.
Così che può sicuramente essere valutata in modo positivo una scadenza temporale dei gradi di giudizio. Una tagliola al tempo del processo per renderlo in ogni caso celere, magari estinguendolo.
Altresì deve essere valutata sicuramente positivamente l’affermazione che per fare un processo occorre una probabilità di condanna, cioè evitare un massiccio passaggio giudiziale di qualsiasi notizia di reato, per liberare tempo per i processi “fondati” da concludersi nei nuovi termini processuali. Insomma, bello, nuovo, ma purtroppo impossibile.
Amnistia e indulto, una riforma necessaria
Impossibile, senza una riforma del processo penale e del codice penale che rendano questi desiderata realizzabili.
Oggi, va affermato con fermezza, la gran parte dei processi che riguardano il signor Rossi qualunque arrivano alla fase dibattimentale con un’istruttoria sommaria, per indizi, senza un contraddittorio reale tra accusa e difesa, tutto viene rinviato al dibattimento che, per forza di cose, nella maggior parte dei casi, svolge un accertamento della prova in tempi contingentati e con tagli dell’attività istruttoria che iniziano dalla riduzione del numero dei testimoni ammessi.
Molti processi arrivano in aula dopo una sommaria lettura degli atti della polizia giudiziaria, senza approfondimenti o verifiche. Accade così che un teste a discarico della difesa venga ascoltato per la prima volta in dibattimento, magari dopo 5 o 6 anni dal fatto reato. Il rinvio a giudizio avviene spesso su presupposti indizi ed il risultato è la moltiplicazione del contenzioso. Sul punto la riforma Cartabia introduce un miglioramento sensibile, ma le modalità non garantiscono che si continui con le prassi consolidate a danno dello sperato effetto deflattivo.
La riforma della prescrizione del precedente Ministro della Giustizia – che prevede che il decorso della prescrizione viene interrotto dalla sentenza di primo grado di condanna – intendeva dare un qualche valore all’accertamento della colpevolezza nel dibattimento di primo grado. Ciò giustificava l’interruzione del decorso della prescrizione.
Amnistia e indulto: 1,5 milioni di procedimenti penali pendenti
L’ossessione giustizialista che genera queste riforme parziali ed ingiuste è la mediocre coperta di un fallimento, il fallimento della funzione giurisdizionale del nostro paese, con oltre 1,5 milioni di procedimenti penali pendenti su di una popolazione attiva di poco più di 54 mln di cittadini. C’è qualcosa che non funziona.
E’ evidente che nessuna riforma estemporanea e non sistemica potrà risolvere questo contenzioso monstre che è di per sé un’ingiustizia, sia per i rei, chiamati a scontare la pena ad anni di distanza, magari quando sono ritornati ad essere cittadini rispettosi della legge o sono persone diverse, sia per le vittime che percepiscono la mancanza di tutela.
Ben venga, dunque, la tagliola processuale della riforma Cartabia e l’effetto di rottamazione dei processi pendenti conseguente all’applicazione del principio intangibile dell’applicazione della norma penale più favorevole. Ma la riforma non può che essere l’ennesimo passaggio intermedio, un contentino per la UE.
La prescrizione non è una lotteria, un premio, contra è una norma di diritto sostanziale, armonica con il principio dello scopo riabilitativo della pena, in un sistema di punizione che non è esclusivamente retributivo,quindi inderogabile.
La previsione Cartabia di un termine massimo di durata del processo solo dal grado di appello non è armonica al sistema e pone rischi di sommarietà nelle celebrazioni dei processi d’appello.
Ne sembra che si escluda di per sè il rischio, senza una riforma del codice penale e del processo penale, che per un reato con prescrizione decennale, ad esempio, intervenendo la sentenza di primo grado in limine della prescrizione – mantenendo la Bonafede – si possa essere condannati comunque in via definitiva dopo tredici anni, un’enormità, indegna di un paese civile e non rispettosa della CEDU che stabilisce termini chiari per la ragionevole durata del processo.
L’improcedibilità oltre il termine stabilito, introducenda dalla riforma Cartabia per i giudizi innanzi la Corte d’Appello o la Corte di Cassazione, tampona l’evidente squilibrio venutosi a creare dopo la riforma Bonafede della prescrizione ma, come segnalano i pragmatici operatori del diritto, nell’immediato si trasformerà in una cancellazione dei procedimenti penali pendenti ed in un corposo taglio del numero dei processi, statisticamente si raggiungerà quella riduzione di durata del processo che soddisfa i piani del Next Generation EU, ma il processo rimarrà nella sua attuale situazione patologica.
Le modifiche di queste ore e la mediazione tra i partiti, con differenti limiti temporali per l’improcedibilità per i reati di mafia o l’ulteriore termine di un anno per tutti gli altri processi – se ritenuti difficili dal Giudice – aggravano la percezione di coperta corta finalizzata a soddisfare la UE, si è perduta un’occasione e tra qualche anno la situazione, senza un intervento complessivo, difficilmente sarà migliorata.