Il CDM del 30 giugno 2021 ricorda certi Cdm della Prima Repubblica. In limine di un termine che l’Unione europea aveva già indicato come non prorogabile è sparito il blocco dei licenziamenti. Ampliata la CIG straordinaria e già si prefigura un nuovo termine alla fine di ottobre, un autunno caldissimo.
I sindacati, non si capisce perché, sono soddisfatti, il Governo ha sdoganato il diktat europeo su ulteriori proroghe, unici a rimanere disorientati sono i lavoratori. Quella che viene indicata come una rete di protezione, in realtà, come nelle migliori battute di pesca, non è altro che una rete a strascico. Si salveranno in pochi, poi sarà disoccupazione o peggio sottooccupazione con ammortizzatori sociali inadeguati.
Chiaro il progetto di competizione tra i lavoratori e il gioco al ribasso sia per i redditi che per i diritti. Una politica liberista estrema destinata a far fallire il 30% delle PMI italiane, le famose aziende “zombie” che disturbano il sonno degli economisti ultraliberisti. Facile prevedere tensioni sociali e l’ennesima sequela di tavoli di crisi ministeriali destinati solo a gestire la crisi piuttosto che a risolverla.
In queste ore arrivano notizie allarmanti dai porti commerciali della Cina con un blocco totale dell’arrivo di merci indispensabili per la vecchia Europa e per gli USA, tanto che qualcuno, all’ultimo G20 tra i sassi di Matera, ha evidenziato che occorre tornare a produrre in casa ciò che ci è necessario.
Ecco che le politiche economiche attuali proiettate al futuro con il NEXT Generation EU sembrano prive di visione. Bene l’economia circolare ma ci vorranno pure dei consumatori, difficile immaginarli nella platea dei sottoccupati, precari o disoccupati. Sarà favoloso il futuro digitale, ma per farci cosa, se già oggi alcune zone dei centri storici sembrano ghost town, come le città minerarie abbandonate del Far West?
Emozionante andare in alta velocità da Torino a Reggio Calabria, ma chi ci viaggerà? A Torino la Fiat non c’è più e la Calabria è lontana dall’essere la Florida dell’Europa. Forse mentre ci digitalizziamo, possiamo anche pensare a ricostruire un tessuto industriale 4.0, perché scaricare un’app in un decimo di secondo potrebbe essere inutile, se non ci arrivano scarpe e mutande dall’Asia, perché noi non le produciamo più.
Digitalizziamo la zappa, sarà il giusto equilibrio verso un futuro migliore, ma con la pancia piena. Con buona pace per i legislatori europei, quelli degli insetti per colazione da mandare giù con il vino annacquato. Occorre gestire la crisi nel senso positivo dell’etimologia greca, “momento di riflessione, discernimento, scelte”.
Il provvedimento assunto dal CDM è l’ennesimo rinvio: nessuna scelta, nessuna politica attiva del lavoro. E per le altre riforme in materia di ammortizzatori sociali, giustizia, fisco e burocrazia non sembra di leggere quelle novità straordinarie che sarebbero necessarie in un momento straordinario, tempus fugit e l’Italia sembra ancora ferma al palo.
La tensione sociale che si sta alimentando non porterà i favoleggiati aumenti di PIL promessi, anzi, presto ci porterà il malessere per il conto di questi nuovi debiti che comunque si dovranno rimborsare, in un quadro di debito pubblico che non siamo, già oggi, in grado di ripagare e che continua vertiginosamente a crescere.
Il fossato, già oggi larghissimo, che separa i ricchi dagli altri è destinato ad allargarsi ancora di più, giusto il tempo di distruggere la piccola borghesia europea, quella americana già è stata smantellata dalla crisi dei mutui subprime.
Gli italiani lo stanno capendo e nei discorsi del bar molti citano il titolo del film della Wertmuller, “io speriamo che me la cavo” e, purtroppo, è una frase ricorrente anche tra i giovani che vedono già ipotecato un futuro incerto.