Situazione capovolta rispetto a lunedì, pressione su Berlusconi affinché non si opponga ed eviti le elezioni. Altrimenti, via libera al Governo neutrale (Belloni in pole per Palazzo Chigi) e a nuove elezioni, con tempi stretti per luglio
La nota del Quirinale sull’incontro Movimento 5 Stelle – Lega
Nel vero e proprio caos in cui sembra precipitata la politica italiana, la regola certa è ormai una sola: ciò che vale un giorno risulta smentito in toto dagli eventi già all’indomani. Di conseguenza, se le consultazioni di lunedì sembravano aver precipitato la situazione verso la bocciatura del “Governo neutrale” proposto da Sergio Mattarella con nuove elezioni a luglio o in autunno, nelle ultime ore appare vicina come non mai l’ipotesi di un Esecutivo Lega-M5S con la non opposizione di Forza Italia. È di questi minuti, difatti, la notizia che i vincitori a metà del 4 marzo hanno chiesto al Quirinale 24 ore di tempo per provare a chiudere l’accordo.
La prospettiva di un ritorno alle urne a brevissimo termine ha fatto scattare l’allarme tra i dirigenti e i parlamentari di Fi, che a quanto riportato da numerose fonti hanno fatto recapitare al quartier generale di Silvio Berlusconi inviti a calibrare con estrema attenzione le prossime decisioni.
In casa azzurra è grande il timore di vedere i propri Gruppi di deputati e senatori falcidiati da una ripetizione delle Politiche (a titolo di esempio, il sorpasso nei voti subìto dal Carroccio renderebbe ben diversa la nuova ripartizione dei collegi uninominali nel centrodestra), così come è diffusa la convinzione che, se il Rosatellum dovesse produrre un’ulteriore assenza di maggioranze, Matteo Salvini e Luigi Di Maio a quel punto celebrerebbero il loro matrimonio politico con numeri ancora superiori a quelli di oggi, con Forza Italia sempre più ai margini.
Dunque, la pressione sull’ex Cavaliere affinché scongiuri la morte in culla della Legislatura è ai massimi livelli, ma è altrettanto forte il suo desiderio di non cedere al veto posto dal Movimento 5 Stelle (malgrado Di Maio stamattina ne abbia negato l’esistenza, parlando di “dialogo con la Lega per un Governo sostenuto da due forze politiche”) e di non abbandonare la posizione di centralità che riveste dalla discesa in campo del 1994. Tanto per ragioni anagrafiche quanto per la difficoltà di interpretare, dopo aver egemonizzato la Seconda Repubblica, una fase di radicali cambiamenti nell’elettorato, la nascita di un Governo guidato da pentastellati e leghisti segnerebbe con tutta probabilità l’inizio della fine della parabola politica di Berlusconi, dal momento che l’asse collaudato tra il segretario della Lega e il capo politico grillino può garantire un orizzonte di medio-lungo periodo a un Esecutivo. È vero che all’ex premier rimarrebbe la possibilità di “fare il controcanto” all’ipotetica maggioranza, ma sarebbe poco più di un premio di consolazione.
Si vedrà se il leader di Fi finirà per ascoltare i suggerimenti di chi (come il presidente della Liguria Giovanni Toti) lo invita a “un’astensione benevola” nei confronti di un patto nell’aria dal 5 marzo, o se sulla sua parola finale peseranno gli appelli di quanti (sull’esempio del presidente del parlamento Ue Antonio Tajani) auspicano che difenda la storia di Forza Italia e l’unità della coalizione da egli ideata circa 25 anni fa. Per la tarda mattinata di oggi era in programma una riunione dei parlamentari azzurri, così come un incontro tra i Gruppi di Fratelli d’Italia, pertanto la soluzione al rebus dovrebbe arrivare già a stretto giro di posta.
Qualora anche l’estremo tentativo di superare lo stallo cui si sta assistendo da oltre 60 giorni fallisse, il Presidente della Repubblica affiderà l’incarico di formare il Governo alla personalità individuata per supplire ai mancati accordi tra le forze politiche. In pole position come presidente del Consiglio “di servizio” ci sarebbe la segretaria generale della Farnesina Elisabetta Belloni, con il dg di Bankitalia Salvatore Rossi in apparenza destinato al ruolo di ministro dell’Economia.
In questo scenario, se le posizioni pubblicamente espresse dall’intero arco parlamentare a eccezione del Partito Democratico non cambiassero, l’Esecutivo “di servizio” individuato dal Capo dello Stato si limiterebbe a traghettare il Paese al voto, non potendo arrivare alla fine dell’anno come negli obiettivi di Mattarella. In base alle cronache, il giuramento dei ministri al Quirinale potrebbe andare in scena domenica 13 maggio e a quel punto scatterebbe il termine di 10 giorni entro il quale la nuova squadra governativa deve presentarsi in Parlamento per ottenerne la fiducia. Il calcolo dei giorni in questo caso assume un significato non secondario, poiché se lo scioglimento delle Camere non arriverà entro domenica 20 maggio la finestra elettorale di luglio si sarà pressoché chiusa.
Al di là di quale sarà l’epilogo tra intesa in extremis Lega-M5S e nuove elezioni, questi due mesi trascorsi all’insegna di partiti impegnati a ragionare con logiche da maggioritario in un sistema proporzionale hanno determinato, come sostenuto da Marco Damilano su L’Espresso, una crisi di sistema nella quale nessuna Istituzione e nessuna scadenza legislativa pare essere al riparo dagli interessi e delle esigenze momentanee dei leader. Non proprio il migliore degli inizi, per la cosiddetta Terza Repubblica.