Dosare le parole e non farsi prendere dall’istinto di apostrofare chicchessia con attributi che, seppur simpatici e goliardici, possono nascondere insidie tra le pagine del codice penale: nel novero delle parole proibite finisce, a seguito di una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, anche la celeberrima “Bimbominkia”, epiteto molto usato nel gergo del web per apostrofare l’utente che si comporta in modo stupido e infantile, intervenendo continuamente nelle discussioni e mostrandosi fastidioso o irriguardoso verso gli altri. Soprattutto, per la Treccani, Bimbominkia è un adulto che fa il ragazzino, che si esprime e si comporta in maniera estrema, esagerata.
Tale termine, la cui nascita è attribuita agli autori di un forum online chiamato Manicomio, secondo gli Ermellini integra il reato di diffamazione aggravata, con la conseguente comminazione della relativa pena di giustizia. A nulla è valsa la giusta inquadratura del termine data, ormai nel 2014, dal giornalista Luca Mastrantonio sul Corriere della sera, quando definiva il creativo appellativo come “un bestia tipica dell’italiano pazzesco, di una particolare fauna digitale caratterizzata da ignoranza e stupore”.
Composto dal sostantivo maschile bimbo e dal sostantivo maschile (per la Treccani) o femminile (per i siciliani) minchia, con sostituzione connotativa, in senso spregiativo, del digramma ch con il grafema k, molti, in letteratura, hanno beneficiato della potenza lessicale di questa parola, a partire da Beppe Grillo (che, attaccando Berlusconi, Renzi e Napolitano nel 2014 esplodeva dicendo “Meglio Pinochet di questi sepolcri imbiancati e bimbominkia assortiti”).
Il caso, sottoposto allo scrutinio dei giudici del Palazzaccio, origina da una querela promossa di Enrico Rizzi, esponente del partito animalista europeo, che su una pagina Facebook era stato appellato #Rizzibimbominkia, dopo le reazioni dello stesso Rizzi all’uccisione dell’orsa Daniza in Trentino. La pagina si trasformò in breve tempo in un florilegio di esclamazioni, sempre con base “Bimbominkia”: «dagli al #bimbominkia», «Si chiama #bimbominkia», «Un saluto dai bimbominkioni Animalardosi», e pubblicando persino una tazza con il logo «#Rizzibimbominkia».
Troppo audace sia per il tribunale di Trento che per la Corte di Appello, i quali entrambi confermavano la condanna per l’amministratrice della pagina al reato di diffamazione, senza prestare valore alla linea difensiva basata sulla non particolare natura offensiva della parola. Troppo anche per la Corte di Cassazione che, confermando la condanna in Appello, ha avvalorato il fatto che nei messaggi rivolti agli oltre duemila appartenenti al gruppo Facebook, il Rizzi era stato additato come mentalmente ipodotato.
Duro colpo, dunque, per la comunità del web. Che ora, per offendere, dovrà accontentarsi di dare all’altrui account del “petaloso”.