Il documento della Banca Centrale Europea mostra che si spende molto per mantenere lo status quo
Le attività di lobbying hanno l’importante scopo di offrire ai policymakers conoscenze di settore molto specifiche, facilitando decisioni più informate. Tuttavia, quando si travalica questo scopo e si punta invece a restringere la competizione a vantaggio dell’incumbent, il risultato può potenzialmente ridurre il benessere complessivo della società. I motivi per cui le aziende agiscono perseguendo tali obiettivi sono stati ampiamente dimostrati in letteratura (si pensi alla funzione dell’interesse privato all’interno delle teorie sulla regolazione elaborate da Stigler nel 1971 o da Peltzman nel 1976), ma è difficile trovare robuste prove empiriche in tal senso, in quanto l’attività di lobbying è spesso esercitata in modo non trasparente e non documentato.
Sono queste le premesse dalle quali prende le mosse un documento pubblicato lo scorso 9 giugno dalla Banca Centrale Europea, dal titolo “Lobbying in Europe: new firm-level evidence”.
Il paper, a firma di Konstantinos Dellis e David Sondermann, parte dall’analisi delle riforme in vari settori e mostra che l’influenza delle aziende per impedire interventi sul mercato dei beni sia stata maggiore, ad esempio, a quella esercitata sul mercato del lavoro,specialmente nell’area dell’euro. Questo è avvenuto a causa della forte resistenza messa in campo da chi possiede interessi acquisiti e rendite di posizione da difendere.
Nell’elaborazione del report la Bce ha tentato di far luce sulle attività di lobbying nell’Unione europea unendo, ai fini della ricerca, i dati presenti sul Registro per la Trasparenza di Bruxelles con quelli del sistema privato AMADEUS.
Dellis e Sondermann hanno quindi evidenziato tre correlazioni significative:
- c’è un chiaro legame tra l’intensità delle attività di lobbying delle aziende e la loro dimensione, misurata sia dal punto di vista dell’occupazione che del giro d’affari;
- le imprese provenienti da settori altamente regolati tendono ad essere più impegnate nelle attività di lobbying rispetto alle aziende più competitive e orientate all’export;
- le aziende che spendono di più in queste attività sembrano avere margini più elevati a fronte di minore produttività, caratteristiche che in letteratura identificano quelle aziende che operano principalmente in mercati chiusi o altamente concentrati.
Sulla base di queste correlazioni i due autori del paper hanno anche confrontato l’implementazione di riforme in settori altamente regolati con le relative attività di lobbying negli stessi settori, analizzate a partire dai dataset citati. Una debole correlazione negativa sembra in ogni caso esistere suggerendo che siano state realizzate meno riforme in quei settori con maggiori spese all’attivo.
In conclusione, quando si parla di lobbying, occorre stare molto attenti: i politici si trovano ad affrontare il difficile equilibrio tra il ricevere importanti informazioni di settore e al tempo stesso evitare che tali attività mettano a rischio la competizione in settori dove la regolazione sembra eccessiva.