Due nomi eccellenti (ma sconosciuti ai più), lanciano l’allarme sulle nuove tecnologie e sull’applicazione cieca e ortodossa delle privacy policies sui dispositivi tecnologici: mantenere riservati e inaccessibili i dati che ogni giorno miliardi di telefoni e computer si scambiano in tutto il mondo ostacola la lotta alla criminalità. Dietro la cortina di ferro della tutela delle informazioni, si verificherebbe in realtà un abuso di tali guarentigie, a danno della repressione delle attività illegali e della lotta alla delinquenza. La privacy, in sostanza, deve essere garantita alla gente onesta, meno ai criminali.
Ad assumere tale posizione tranchant, uscendo dal coro unanime della necessità di proteggere quanto accade nella sfera privata di ognuno – sempre e ovunque – , ci ha pensato Catherine De Bolle, direttrice esecutiva di Europol e Cyrus R. Vance Jr., procuratore distrettuale della contea di New York: “In quanto autorità preposte all’applicazione della legge, abbiamo il dovere nei confronti delle vittime dei crimini e delle loro famiglie di perseguire ogni pista disponibile, cercare tutte le prove e non fermarci davanti a nulla, finché non avremo accertato la verità” hanno dichiarato le due autorità con una lettera aperta pubblicata sul sito politico.eu. “Negli ultimi anni, tuttavia, ci siamo imbattuti in un nuovo ostacolo: dispositivi digitali crittografati che tengono bloccate le prove dei crimini, impossibile da acquisire dagli investigatori”.
I due sceriffi sollevano dubbi sulle tecniche di crittografia, oggi sempre più strumenti-chiave con cui si pianificano, si perpetuano e si commemorano i reati, cosa che conduce al primo paradosso delle moderne tecniche di comunicazioni elettroniche: più l’innovazione è in grado di proteggere la privacy, più essa consente una tecnologia “a prova di mandato” che, se da un lato tutela la riservatezza degli utenti, dall’altro ostacola sempre più le indagini penali.
All’interno dei molteplici dispositivi elettronici, più delle volte, ci sono le prove necessarie per risolvere un crimineanche se, purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista), se la prova si trova all’interno di uno smartphone questa equivale ad essere inaccessibile, a causa della c.d. “crittografia non regolamentata”: “La criminalità organizzata, i terroristi e i pedofili sono tutti attratti da dispositivi e piattaforme di comunicazione progettati per essere tecnicamente impossibili per le forze dell’ordine ad accedervi legalmente”. L’impenetrabilità dei dispositivi digitali rappresenta un problema per l’intero pianeta. Non c’è posto nel mondo dove la crittografia non sia diventata una vera sfida investigativa. Per questo l’accesso ai dati rinchiusi nei dispositivi digitali può fare la differenza tra risolvere i crimini e lasciarli impuniti.
Non si tratta di un ragionamento teorico, ma basato su fatti e casi concreti: qualche mese fa l’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan è stato ostacolato nell’accesso alle prove in un caso di traffico sessuale di minori. Le prove, detenute proprio all’interno dei telefoni degli indagati, avrebbero potuto fornire importanti indizi e salvato altri bambini vittime di tratta, inchiodando nel frattempo eventuali complici. Un giudice ha stabilito che i telefoni dei sospettati di tale mercimonio contenevano le prove di tali attività criminali, e ne ha ordinato l’accesso alle forze di polizia. Tuttavia, il contenuto di quei telefoni rimane ancora oggi inaccessibile, perché sbarrato con un codice e completamente crittografato. Impossibile sbloccarli, a meno di un utilizzo di particolari tecniche incredibilmente costose.
Tutto ciò, almeno secondo il procuratore americano, introduce il secondo paradosso delle investigazioni moderne, ovvero l’obbligo per le procure di dare la priorità ai casi non in base alla loro gravità, ma in base alla probabilità di accedere a prove crittografate.
“Non è sostenibile continuare a delegare gli standard di crittografia a società tecnologiche private. La regolamentazione è necessaria, e urgente” hanno fatto eco i due alleati in questa santa alleanza contro la privacy criminale. “Non si può continuare a delegare gli standard di crittografia a società tecnologiche private”.
Risolvere questo problema richiederà un delicato equilibrio tra privacy da un lato e sicurezza pubblica dall’altro. La semplice priorità di una sopra l’altra non può essere una soluzione accettabile. La pensano così anche le vittime del crimine.