Ci sono tweet sbagliati, ma non tutti i tweet sbagliati sono uguali.
Ci sono citazioni frettolose, ma neanche queste sono tutte uguali.
Onorevole Lorenzin, il carabiniere caduto in Congo si chiamava Vittorio.
Così come quel “congiunto” trucidato per mano mafiosa si chiamava Piersanti, che ora ricorderà bene l’ex premier Conte dopo essere inciampato malamente anche lui in una brutta gaffe durante un suo discorso alla Camera.
E quel “(metti il nome)” nel post, poi corretto, di Beatrice Lorenzin fa purtroppo il paio proprio con il “congiunto” di Giuseppe Conte di qualche anno fa.
Una parola che ricorrerà poi spesso nell’avventura politica dell’ex presidente del Consiglio nei suoi innumerevoli Dpcm dell’era Covid e che gli italiani impareranno purtroppo a conoscere bene.
Ma questa è un’altra storia.
Superficialità, approssimazione comunicativa, fretta.
Può starci tutto.
Ma non la sciatteria verso i morti.
Morti ammazzati barbaramente.
Ricordare, per chi rappresenta le istituzioni, in certi casi è un dovere.
Tanto per la Lorenzin oggi, quanto avrebbe dovuto esserlo per Giuseppe Conte, ieri.
Perché quel nome che avrebbe dovuto mettere nel tweet, poi corretto, la deputata Pd, era Vittorio Iacovacci, il carabiniere di scorta all’ambasciatore Luca Attanasio, entrambi assassinati in Congo durante un tentativo di rapimento.
Due italiani, due servitori dello Stato caduti al servizio di quello Stato che la Lorenzin rappresenta in Parlamento.
E nel tweet incriminato, e anche in quello poi aggiustato, c’è anche un’altra “svista”. La parlamentare esprimendo il cordoglio alle vittime, cita giustamente anche l’autista congolese deceduto insieme ai due italiani. Senza però riportarne il nome.
Si chiamava Musthapha Milambo, onorevole.
Un’altra dimenticanza?
Imbarazzante per chi come la Lorenzin milita in un partito tanto attento all’eguaglianza che neanche nella seconda stesura del post ne abbia messo il nome. Non era italiano, certo. Ma era un essere umano.
E se l’hastag #restiamoumani tanto caro alla sua parte politica non è solo uno slogan, citare anche il nome dell’autista sarebbe stato doveroso.
E il “congiunto” di cui Giuseppe Conte non ricordò al momento il nome nel suo discorso, quando era alla guida del governo gialloverde, era Il fratello del capo dello Stato, Sergio Mattarella, il presidente della regione Sicilia, Piersanti, ucciso in un agguato mafioso.
E dai banchi del Pd, dove allora sedevano i “nemici” di quelli che poi sarebbero diventati amici, si levò un grido di sdegno. A ragione.
“Piersanti, si chiamava Piersanti”, urlò Graziano Del Rio all’indirizzo del premier.
Ecco, un grido simile è riecheggiato dai social in questi giorni verso la Lorenzin.
Si chiamava Vittorio Iacovacci, onorevole, quel ragazzo di appena trent’anni tornato a casa in una bara avvolta dal tricolore. Quella bandiera che lui sì ha onorato fino all’ultimo.
Un nome che la Lorenzin non ha neanche avuto il tempo di andarsi a cercare. Delegando ad altri la faccenda.
Altri che distrattamente hanno optato per un copia incolla dagli esiti vergognosi che sappiamo.
E stupisce che in questa gaffe “sgradevole”, per usare un eufemismo sia incappata proprio Beatrice Lorenzin, che fu l’ideatrice delle “Governiadi”.
Ricordate?
Il battesimo a Bolsena, nel luglio del 2011.
Una sorta di gioco di ruolo che avrebbe dovuto formare la nuova classe politica dirigente.
Umanizzarla a livello organizzativo ma anche comunicativo, pensate un po’ gli scherzi del destino.
E al termine della kermesse fu proprio sua l’idea di spedire a ciascuno dei partecipanti una cartolina ricordo.
Una specie di attestato di frequenza.
Chissà se almeno allora ebbe la premura di scrivere i nomi dei partecipanti Beatrice Lorenzin, ora deputata Pd, ex Fi, ex PdL, ex Ncd, ex Ap, ex, e qui sì che ci starebbe bene un “metti il nome”, perché a ricordare tutti i cambi di partito dell’ex ministro della Salute ce ne vuole assai.