Ma occorre coordinarli con l’Agenda 2030. “Il Parlamento impegni il Governo sul Def”. L’ex ministro e presidente Istat alla Camera
L’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, già presidente Istat e oggi portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, è stato ricevuto ieri in audizione dalla Commissione Bilancio della Camera sull’indice BES – Benessere equo e sostenibile che, attraverso 12 indicatori, accompagnerà la nuova legge di bilancio misurando qualità della vita e impatto delle policy sulla società italiana.
Giovannini ha tenuto a ricordare che con il BES l’Italia ha compiuto una scelta all’avanguardia fra i paesi industrializzati. La storia di questo indice nasce addirittura nel 2004, nel forum mondiale Ocse a Palermo, durante il quale venne ipotizzato per la prima volta. Nel 2010, da presidente dell’Istat, il prof. Giovannini iniziò la collaborazione con il Cnel per definire questa “costituzione statistica”: un documento che descrivesse esaustivamente lo stato del paese non solo con le medie, ma anche con la distribuzione del benessere, inteso sia come equità nel presente che come sostenibilità in senso intergenerazionale.
Il risultato scaturito da questo lavoro fu a suo vedere di grande qualità, con il coinvolgimento e la partecipazione della società civile che portò alla selezione di circa 130 indicatori rappresentativi dello stato del Paese, che l’Istat pubblica annualmente sia in versione nazionale che territoriale. Grazie alla riforma della legge di bilancio, questo set di indicatori è stato assunto come primo riferimento.
Attraverso il lavoro di una commissione composta da rappresentanti del Mef, dell’Istat, di Bankitalia, da lui stesso e dal professor Guiso, a partire da quei primi 130 sono state selezionate le 12 aree ritenute rappresentative per il BES, le quali dovevano avere una caratteristica fondamentale: non solo descrivere il passato, ma poter essere oggetto di previsioni in base alla legislazione vigente e alle politiche contenute nel Def (Documento di Economia e Finanza). Prevedibilità e simulabilità sono stati quindi i parametri guida nella creazione dell’indice.
Proprio per questa perimetrazione, la commissione ha chiesto al governo di integrare il Def con altri indicatori essenzialmente storici, poiché quelli di carattere maggiormente soggettivo e che bene esprimono il sentire dei cittadini sono stati esclusi dal BES, a causa della loro scarsa prevedibilità.
A titolo personale, l’ex ministro si è detto lieto che il governo abbia introdotto 4 indicatori sperimentali nel Def 2017, segnale che sta avvenendo un cambiamento nella narrazione delle politiche. Serve sempre di più una valutazione dell’impatto atteso da tali azioni e un forte investimento nella modellistica: punti sui quali non può muoversi solo il Mef, ma tutto il governo. L’Italia infatti non può dirsi un paese all’avanguardia nella valutazione delle politiche pubbliche, anzi: fra i paesi del G7 è quello che investe di meno. Il Parlamento, l’esecutivo e l’Ufficio parlamentare di bilancio svolgono molte attività, ma le valutazioni ex ante ed ex post sono ancora marginali, tranne che sulle dinamiche finanziarie e macroeconomiche.
Nonostante alcune leggi prevedano l’istituzione di commissioni di valutazione, le risorse impegnate in questo senso sono davvero poche. Negli Stati Uniti ad esempio, l’Accountability Office svolge sempre analisi preventive sulle iniziative legislative. La speranza di Giovannini è che il BES porti a questo tipo di investimento, che è sia politico che di governance. Istituzioni come Ispra, Enea, Istat, Inapp svolgono funzioni per le quali sarà necessario trovare momenti di raccordo.
Va ricordato in questo senso che nei giorni scorsi il governo ha presentato in sede ONU la strategia italiana di sviluppo sostenibile per l’attuazione dell’Agenda 2030, che sarà monitorata con un set di oltre 250 indicatori. L’Istat ha rilasciato i primi 158, un sottoinsieme che copre poco alcune dimensioni tradizionalmente marginali nelle scienze statistiche. Si pone dunque la domanda: come armonizzare questo nuovo sistema con gli indicatori introdotti in legge di bilancio? La buona notizia è che le 12 dimensioni del BES sono allineate con i 17 goal dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile. Per evitare però confusione nell’opinione pubblica – sottolinea il professore – è importante che venga costruita una mappa trasparente di armonizzazione dei due sistemi. Peraltro, l’Agenda 2030 (che dovrebbe essere prossimamente all’Odg del Consiglio dei Ministri) prevede ogni anno la realizzazione di un rapporto nel mese di febbraio: sarà quindi importante coordinare anche la comunicazione con il ciclo di bilancio.
Giovannini ha poi evidenziato un aspetto del BES che ha risvolti positivi, ma dovrà in ogni caso essere corretto in futuro. Infatti, nella sua istituzione non sono previste possibilità di modifica futura, in maniera tale che i 12 indicatori siano praticamente “eterni”. Da un lato è un bene, perché così maggioranze diverse non potranno modificarli a loro piacimento. Accadde in UK con il governo Tatcher, che sospese la produzione di indicatori sulle disuguaglianze perché lontani dagli obiettivi del governo; pochi anni dopo seguirono gli Stati Uniti a proposito della sostenibilità ambientale. È opportuno però, secondo il professore, che venga inserita una revisione periodica, per tener conto degli avanzamenti della produzione statistica. Indicatori importanti come il consumo di suolo o il tasso di corruzione sono stati finora esclusi perché non sufficientemente affidabili, ma in futuro il progresso degli studiosi potrebbe renderli includibili.
In conclusione, il professore ha espresso un auspicio: che il Parlamento e la Commissione impegnino il governo, a partire dal prossimo Def, a utilizzare tutti e 12 gli indicatori, e che non vengano considerati un “programma pluriennale di implementazione”. Sarebbe segno di serietà e una svolta nella condizione delle politiche pubbliche.