Ametrano (Bicocca) spiega a LabParlamento i possibili effetti sulla nostra economia
di Valentina Magri
Sembrava un investimento di nicchia, e invece ora è sulla bocca dei risparmiatori di tutto il mondo. Parliamo del bitcoin, la criptovaluta che a inizio dicembre ha toccato il massimo storico a 18.000 dollari, dopo aver raddoppiato il suo valore per ben quattro volte nel 2017. Secondo la testata americana “The Atlantic”, sarà la prossima bolla speculativa. Quale impatto potrebbe avere sulla nostra economia? LabParlamento lo ha chiesto a Ferdinando Maria Ametrano, che insegna bitcoin e blockchain (la tecnologia alla base del bitcoin) presso l’Università Bicocca e il Politecnico di Milano.
Cos’è il bitcoin?
“Il bitcoin è il primo bene digitale trasferibile ma non duplicabile. Essendo anche in quantità scarsa e strettamente limitata si candida per essere l’equivalente digitale dell’oro. È fondamentalmente una crypto-commodity, usata anche come moneta (per questo la chiamano crypto-currency) ma è soprattutto un bene rifugio. Se pensiamo al ruolo dell’oro fisico nella storia della civilizzazione, della moneta e della finanza, capiamo che l’oro digitale potrebbe avere un impatto dirompente nella nostra civilizzazione digitale e nel futuro della moneta e della finanza”.
Su cosa si basa il suo valore, attualmente così elevato?
“Il valore dipende solo dalla legge del mercato: l’offerta è limitata, la domanda cresce, il prezzo sale. In tanti lo comprano perché matematica e crittografia sono affidabili almeno quanto un banchiere centrale. Quest’ultimo può esercitare la sua discrezionalità, l’algoritmo matematico farà sempre ciò che è previsto che faccia, in maniera deterministica e non manipolabile. È un cambio di paradigma: dalla fiducia centralizzata a quella decentralizzata”.
Pensa che il bitcoin sia una bolla?
“Non credo sia una bolla, piuttosto lo spillo che potrebbe far scoppiare altre bolle. In primis, quella del debito pubblico. A differenza di quest’ultimo, che costituisce passività, il bitcoin è intrinsecamente un attivo: nel momento in cui dovesse prevalere la sfiducia sulla sostenibilità del debito i capitali si riverseranno in bitcoin. Scenari meno drammatici potrebbero invece vedere l’euro e il dollaro mantenere o intraprendere percorsi virtuosi sull’urgenza della concorrenza del bitcoin. Se proprio dobbiamo usare un’immagine per la crescita di valore, il bitcoin rappresenta una grande, confusa, magari anche pericolosa, ma soprattutto inarrestabile corsa all’oro, un New Wild West pieno di furfanti, nani, prestigiatori e ballerine, dove mancano le mappe e lo sceriffo non è ancora arrivato in città. Ma far finta che l’oro non esista non aiuta nessuno. Dopotutto, città straordinarie come San Francisco sono nate dalla corsa all’oro”.
Quale potrebbe essere l’impatto sull’economia italiana?
“In generale, il bitcoin ha reso chiaro che possiamo trasferire valore senza intermediari. I business basati sull’intermediazione delle transazioni finanziarie sono destinati a perdere significato e rilevanza, ma questo trend è globale, non solo italiano. Ci saranno sicuramente effetti destabilizzanti, ma se il legislatore e il regolatore sapranno interpretare la sfida senza demonizzazioni, saranno adottati comportamenti virtuosi che faranno bene all’economia”.
Qual è la regolamentazione attuale del bitcoin in Italia?
“Ad oggi c’è un sostanziale vuoto legislativo, salvo alcuni aspetti di antiriciclaggio che regolano la conversione tra euro e valute virtuali. Non esiste un inquadramento a riguardo della natura di bitcoin”.
Come potrebbe evolversi la legislazione sul bitcoin in Italia?
“Qualunque approccio regolamentare non potrebbe che essere a livello globale o perlomeno europeo. Ma bitcoin è intrinsecamente innovazione permissionless, come il web, l’email, i protocolli peer-to-peer: sfugge ai tentativi di regolamentazione. Inoltre, per regolamentare è necessario prima comprendere e adesso siamo ancora lontani da una consapevolezza della novità rappresentata da bitcoin. Siamo di fronte a un cambiamento di paradigma culturale, non una semplice innovazione tecnologica, per cui molti dei criteri usuali sono inapplicabili. È più probabile che capiremo non per lucidità di analisi, ma per adattamento empirico e non senza scossoni controversi”.