Nei suoi 2.774 anni Roma ne ha viste veramente di tutti i colori. Il poeta latino Marco Anneo Lucano nel 61 d.c. (Pharsalia) scriveva “Ipsa, Caput Mundi, bellorum maxima merces, Roma capi facilis” (La stessa Roma, capitale del mondo, la più importante preda di guerra, agevole a soggiogarsi).
Non stupisce, quindi, almeno gli addetti ai lavori, che il centrosinistra, storicamente conosciuto nella Capitale per la sua compattezza nel selezionare e sostenere la classe dirigente, abbia deciso stavolta di presentarsi con ben tre candidati sindaci di area, includendo anche la sindaca uscente in quota Cinque Stelle ma, come dimostrano i giochi di Palazzo, ormai sempre più stretta nell’abbraccio (mortale?) con i democratici.
Che il centrosinistra a Roma abbia qualcosa da farsi perdonare dai romani è cosa risaputa. La sconfitta del 2008 con Alemanno, con lo sberleffo della minestra riscaldata di Francesco Rutelli, rimane sui libri di storia del Campidoglio. Dopo quella sconfitta, l’altro storico harakiri, con Ignazio Marino, destituito dai consiglieri Pd dal notaio, altro record che la sinistra romana conserva gelosamente in bacheca.
Ma veniamo al punto. La scelta di correre separati e fingersi in competizione non funziona con i romani, ormai troppo avvezzi a questi giochetti e duramente colpiti dal doppio colpo Mafia Capitale e cinque anni di consiliatura Raggi, che purtroppo hanno ridotto la città ad un parco per cinghiali a cielo aperto.
Anche qui, non siamo noi a dirlo, ma alla possibile rielezione di Virginia Raggi non credono per primi i grillini, come dimostra il fuggi fuggi in Assemblea Capitolina negli ultimi mesi di consiliatura. A scherzarci su, verrebbe da dire che neanche una modifica della legge elettorale che consentisse ai cinghiali di votare potrebbe ribaltare il commiato dell’amministrazione Raggi nata sulle ali del vento del cambiamento ma che ha disatteso tristemente i tanti romani, anche di destra e sinistra, che avevano scelto di darle fiducia.
Ma passiamo agli altri due candidati sindaco in campo nel centrosinistra: il “richiamato” ed il “ministro del disastro economico”, definizione che non ci permetteremmo di utilizzare se non citando il copyright del suo collega di partito, Michele Emiliano, governatore della Puglia.
Il Professor Roberto Gualtieri è un disciplinato funzionario di partito in attesa di pensione da parlamentare, pronto all’uso quando c’è da occupare una poltrona. E fin qui nulla questio. Forse per questo, dopo aver svolto il ruolo di ministro dell’Economia, senza avere un occhio di riguardo per Roma, come dicono i suoi delatori, l’unica giustificazione che viene data alla sua scelta è proprio l’antico vizio degli ex diesse di lottizzare gli incarichi. Anche qui, per dare una fotografia del consenso che in questi giorni sta raccogliendo l’ex ministro, è sufficiente rivedere le immagini dei lavoratori di Alitalia che in corteo ne hanno decretato l’appeal a suon di fischi.
Discorso diverso è quello che si deve fare per l’onorevole Carlo Calenda, anche lui al sicuro con lo stipendio niente male da europarlamentare, in attesa di fusione tra la sua creatura, Azione, ed il 2% di Italia Viva. Carlo gira da qualche mese affaticato ed ansimante, divagando di una città che lui conosce come figlio della “Roma bene”, cosa rispettabilissima, per carità, ma certo fa un po’ specie sapere che chi è nato con la camicia oggi ostenti la polo sotto la giacca. Il suo passato governativo, come per Gualtieri, è stato battezzato sempre dal governatore della Puglia, Michele Emiliano, critico per la pessima gestione dell’affaire Ilva.
Un quadro triste per la povera Roma, destinata al ballottaggio a rimanere “vittima” di un bluff che i romani non meritano. Ciò che dovrebbe far più riflettere è che la scissione in tre candidati, pur facenti capo più o meno tutti allo stesso bacino elettorale, viene proprio nell’anno in cui il centrodestra, fortissimo stando ai sondaggi nazionali, ha scelto oggettivamente una candidatura, non ce ne voglia il professor Enrico Michetti, debole agli occhi dei romani, che forse si sarebbero aspettati un personaggio politico di spicco (Giorgia Meloni?).
Eppure “Michetti chi?” fa paura agli avversari, forse perché è competente e perché conosce il diritto amministrativo ed il diritto pubblico come nessuno dei tre candidati di sinistra. Che sia lui il paladino di quella rivoluzione auspicata per rilanciare la Capitale, lo decideranno i romani. A noi il compito di registrare una campagna elettorale silente, che non decolla sui contenuti, che non piace ai romani e che potrebbe giocarsi tutta sui voti degli indecisi o, peggio, su chi eserciterà uno dei peggiori diritti che c’ha dato questa Repubblica: il non voto.