Dopo il terzo no di Westminster all’accordo May, da qui a 10 giorni il Regno Unito dovrà concordare una nuova strategia e chiedere un rinvio lungo a Bruxelles, pena il no deal (che si avvicina sempre di più…)
Non è bastata nemmeno la promessa di dimissioni della primo ministro Theresa May a convincere Westminster a votare a favore del Withdrawal agreement, il cuore dell’accordo da lei raggiunto nel dicembre scorso con Bruxelles per assicurare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.
Nel pomeriggio di venerdì 29 marzo, ossia il giorno che avrebbe dovuto segnare la fine del processo Brexit se gli eventi non avessero preso questa piega, la Camera dei Comuni ha infatti respinto per la terza volta il testo negoziato da May con 344 no e 286 sì. Per quanto si tratti di una sconfitta di dimensioni minori rispetto alle precedenti di gennaio e della prima metà di marzo, quanto avvenuto rappresenta un’ulteriore onta per il Governo del Regno Unito, che dopo aver perso ogni forma di controllo sul Parlamento ormai appare non avere più alcuna credibilità per risolvere una volta per tutte la situazione.
Ancor di più, in un panorama politico nel complesso sconvolto dalle conseguenze del referendum del giugno 2016 è il Partito Conservatore a uscire realmente a pezzi dagli ultimi eventi.
Dopo essersi a lungo divisi tra Brexiteers moderati e radicali e aver cercato più di ricomporre il partito che non di perseguire gli interessi del Paese, anche a costo di logorare la loro stessa leader, i Tories nelle prossime settimane si troveranno a dover scegliere tra due esiti ugualmente indigesti a molti: un divorzio senza accordo dall’Ue o un’ulteriore proroga, in questo caso di almeno un anno, della data di separazione di Londra da Bruxelles. Il tutto, condito da una premier che per sua stessa ammissione è sul punto di abbandonare Downing Street, e da una schiera di esponenti di peso del partito che, pur di coronare l’ambizione di guidare la Gran Bretagna nelle future discussioni con l’Europa, si sono rimangiati mesi di critiche feroci all’accordo di Theresa May, finendo comunque sconfitti.
Dunque, per effetto del nuovo “no” dei Comuni è venerdì 12 aprile la nuova data da segnare sul calendario. Entro poco più di 10 giorni, il Regno Unito dovrà infatti presentarsi al cospetto degli altri 27 Stati membri dell’Unione europea con una nuova strategia per sbloccare l’impasse, sulla cui base ottenere un rinvio lungo dell’articolo 50 del Trattato sull’Ue, pena lo scenario da incubo del no deal. Nel primo caso sarà necessario l’ok unanime dei Capi di Governo Ue nel Consiglio straordinario convocato dal presidente Donald Tusk per mercoledì 10 aprile, con la conseguenza inevitabile della partecipazione del Regno Unito alle elezioni Europee del 26 maggio, nonostante la maggioranza dei suoi cittadini quasi 3 anni fa abbia votato per non far più parte del blocco comunitario.
Già a partire da oggi, a Westminster si terrà una serie di votazioni per stabilire se esista il sostegno per una determinata forma di Brexit. Tuttavia, anchei componenti della Camera dei Comuni hanno finora dato dimostrazione di sapere soltanto cosa non vogliono, come dimostrato da quanto accaduto il 27 marzo. In quell’occasione, i parlamentari hanno respinto addirittura 8 alternative al testo della Primo Ministro: dalla soft Brexit al secondo referendum, passando per il piano dei laburisti (partecipazione della Gran Bretagna all’unione doganale e al mercato unico europei) e per la revoca dell’intero processo.
Cosà succederà ora? Alla domanda che accompagna da mesi il tormentone Brexit continua a non esserci risposta, e il caos è tale che non ci sarebbe da sorprendersi né di un improbabile via libera all’accordo May in quarta battuta, né di una sospensione delle ostilità a Londra fino al 2020 o 2021, in modo da permettere la celebrazione di elezioni generali o di un nuovo voto popolare sulla questione. In ogni caso, come si faceva presente la settimana scorsa, è il no deal l’epilogo che si avvicina sempre di più e che continua a prendere forma, data l’imprudenza e l’insipienza della quasi totalità dei protagonisti. Oltre il 12 aprile non ci saranno altri margini per evitare un risultato disastroso per tutti.