La separazione tra Londra e Bruxelles rappresenta solo l’inizio di un processo intricato. Entro il 31 dicembre andranno definite le future relazioni su commercio, sicurezza, servizi, pesca, dati e altro ancora. Boris Johnson ha annunciato l’inizio di una nuova era per la Gran Bretagna, ma l’incertezza è di nuovo totale
Dopo 47 anni contrassegnati più da bassi che da alti, nella tarda serata di venerdì 31 gennaio è arrivata la fine della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea.
A distanza di oltre 3 anni e mezzo dal referendum del giugno 2016, che è costato la carriera a due Primi Ministri (David Cameron) ed è stato all’origine di una forte polarizzazione nella società britannica e nel Parlamento di Westminster, è dunque giunto almeno a un primo punto fermo il tormentone Brexit, come si era potuto immaginare con la netta vittoria dei Conservatori di Boris Johnson nelle elezioni del 12 dicembre scorso.
Come si accennava, tuttavia, la partita può dirsi tutt’altro che chiusa, perché dopo l’accordo sul divorzio (stretto nell’autunno 2019) Gran Bretagna e Commissione Ue dovranno ora negoziare un’intesa sulla loro futura relazione entro il 31 dicembre 2020, data in cui si esaurirà il periodo di transizione durante il quale Londra, seppur esclusa dalle istituzioni di Bruxelles, continuerà a seguire le norme e gli standard dell’Unione.
Il compito che attende le due parti in gioco è estremamente complicato, dal momento che non saranno solamente le regole per il commercio di beni a dover essere definite, ma anche i nuovi rapporti in materia di sicurezza, condivisione dei dati, fornitura di servizi (in primis finanziari), pesca, traffico aereo, diritti dei lavoratori e protezione dell’ambiente. Considerando che il Trattato di libero scambio siglato da Ue e Canada (Ceta), spesso indicato da Johnson come faro della propria strategia, ha necessitato quasi 7 anni di trattative per vedere la luce, ipotizzare che in 11 mesi si possa portare a compimento la missione appare a dir poco irragionevole.
Non aiutano poi gli imminenti negoziati gli annunci degli ultimi giorni da parte dell’inquilino di Downing Street, il quale ha fatto sapere di non aver alcuna intenzione di mantenere il Regno Unito più o meno allineato con le regole di Bruxelles su mercato unico e unione doganale, malgrado la Commissione europea abbia avvertito Londra che non esiterà a introdurre dazi e tariffe, qualora dovesse subire una concorrenza sleale (innanzitutto sul piano fiscale) Oltremanica.
Boris Johnson ha definito l’addio all’Ue come l’alba di una nuova era e l’opportunità per liberare le potenzialità della Gran Bretagna su scala globale. Tuttavia, al momento quella che si intravede è una grande incertezza per le sorti di un Paese che, malgrado l’uscita da un’organizzazione sovranazionale, rimane a tutti gli effetti parte del continente europeo, dove ha per secoli esercitato un ruolo di primissimo piano. Tramontata da tempo la sua epopea da potenza imperiale, il vero asset del Regno Unito è rappresentato dalla relazione privilegiata con gli Stati Uniti, che per quasi tutto il 2020 saranno però concentrati sulla campagna per le elezioni presidenziali, il che rende inattuabile il disegno britannico di usare le eventuali trattative con Washington per ‘ammorbidire’ i negoziatori di Bruxelles.
Inoltre, il Primo Ministro dovrà continuare a fare i conti con gli strascichi che la Brexit ha avuto e continuerà ad avere sul versante della politica interna. Poche ore prima del discorso alla Nazione con cui Johnson ha celebrato il distacco dall’Unione, la leader scozzese Nicola Sturgeon ha infatti annunciato che Edinburgo tornerà presto in Europa da Stato indipendente, annunciando il proseguimento della battaglia per un nuovo referendum secessionista (a metà gennaio ha ricevuto un primo ‘No’ da Londra). E non vanno poi dimenticate le incognite sul futuro dell’Irlanda del Nord, per la quale entrerà in vigore un intricato regime (Belfast sarà al tempo stesso parte dell’unione doganale britannica e del mercato unico Ue) che non ha soddisfatto nessun partito locale, circostanza che ha dato il là a dibattiti su una possibile riunificazione con la Repubblica d’Irlanda.
In definitiva, la separazione del Regno Unito dall’Unione europea consumatasi venerdì scorso non rappresenta altro che l’inizio di un processo intricato e dalle tempistiche ben superiori a quelle finora preventivate, e sul cui esito risulta nuovamente impossibile avanzare previsioni. Non ci sarebbe da sorprendersi se il no deal temuto per l’intero 2019 si consumasse alla fine di quest’anno, né risulterebbero inattese una richiesta di proroga del periodo di transizione da parte della Gran Bretagna (malgrado la Camera dei Comuni abbia da poco approvato una legge che esclude questa eventualità) o una retromarcia di Boris Johnson dagli annunci di rottura con l’impianto normativo-regolatorio di Bruxelles.
Per dirla nella lingua di Shakespeare, malgrado tutto sulla Brexit ‘The show must go on’.