Agenzia del Farmaco ad Amsterdam. E per l’economia italiana sfuma un’ottima occasione di rilancio
Una vera e propria beffa per Milano. Così può essere sintetizzato l’esito delle votazioni per l’assegnazione della prossima sede dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco, deputata a garantire la valutazione scientifica, la supervisione e il controllo della sicurezza dei medicinali per uso umano e veterinario nell’Unione Europea e nello Spazio economico europeo (See).
Al termine di tre turni di voto, infatti, la città italiana è stata battuta da Amsterdam al sorteggio, dopo essere risultata in testa ai primi due scrutini.
Esito della votazione a parte, la decisione è carica di significati dal punto di vista politico ed economico.
Anzitutto, questa scelta è stata una delle prime conseguenze della cosiddetta Brexit, in quanto l’Agenzia che sino ad ora aveva il proprio quartier generale a Londra tra poco più di un anno sarà costretta a trasferirsi.
Insomma l’Ema rientrava in una nuova definizione dello scacchiere geopolitico, necessaria in seguito all’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito, che porta con se, per la nazione scelta come nuova sede (dunque per i Paesi Bassi), la possibilità di avere un diverso peso e una carta in più da spendere nelle varie decisioni da assumere a Bruxelles.
Ma l’individuazione della nuova “capitale europea del farmaco” era soprattutto una scelta con importanti conseguenze economiche cui l’Italia in generale e le imprese del settore in particolare guardavano con nutrito interesse.
Sono 25.000 le imprese italiane (5.000 in Lombardia e circa 2.000 a Milano) che infatti operano, a vario titolo, nell’ambito della produzione e della ricerca farmaceutica, coinvolgendo oltre 165.000 addetti e generando un fatturato di circa 33 miliardi di euro l’anno (di cui un terzo circa proveniente proprio da Milano).
Numeri importanti dunque, tali da far salire il rammarico per ciò che un’assegnazione della sede avrebbe potuto rappresentare per la città della Madonnina.
Anzitutto, il budget dell’Ema per il 2017 è di 322,1 milioni di euro. Di questi 285,1 milioni vengono versati sotto forma di contributi dalle società farmaceutiche che richiedono le autorizzazioni. I restanti 16,5 milioni derivano dal bilancio Ue come contributo per la salute pubblica. Per l’autorizzazione di farmaci per la salute umana le fees partono da 282,10 euro, per quelli veterinari da 141,30, mentre per i pareri scientifici per farmaci destinati all’uomo si va da 42,30 euro a 84,70 euro anche se sono previsti sconti per micro e piccole e medie imprese e per farmaci per curare malattie rare.
Ma non era solo questa la posta in gioco dal punto di vista economico. Ospitare l’Agenzia del farmaco avrebbe potuto rappresentare infatti un volàno per l’industria farmaceutica e il suo indotto stimato tra 1,7 e 1,8 miliardi, ma anche per la ricerca scientifica, a beneficio della Città prescelta e dell’intero Paese.
Per comprendere meglio basta vedere alcuni dati prodotti dalla Federazione europea delle aziende e delle associazioni industriali farmaceutiche, secondo cui, nel 2016 la produzione complessiva del settore in Europa si è attesta a 250 miliardi nel 2016, quasi dodici in più rispetto all’anno precedente (238,4 miliardi) mentre l’export ha raggiunto quota 375 miliardi e gli investimenti sono stati pari a 35 miliardi, il doppio al 2000.
E se poi si considera che a fine dicembre 2016 lo staff dell’Authority del farmaco era composto da 897 dipendenti (624 donne e 273 uomini), questo vuol dire che a Milano sarebbero potuti arrivare molti “nuovi milanesi”, soprattutto giovani (il 43 per cento ha tra i 30 e i 40 anni, il 22 per cento tra i 40 e i 45) con la necessità trovare una casa e di viverla arrivando a generare, soltanto in termini di consumi, 39 milioni all’anno.
Inoltre, va considerato che se come in passato numerose società farmaceutiche avevano spostato la loro sede a Londra per essere vicine all’Authority, è possibile che avrebbero fatto la stessa cosa con il trasloco dell’Ema, apportando in tal caso all’economia locale e nazionale, secondo stime recenti dell’Università Bocconi, fino a 900 milioni l’anno.
Insomma, numeri che avrebbero potuto dare nuova linfa economica a Milano e destinati, a questo punto, a provocare non pochi rimpianti.