Come previsto, l’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri sostituirà Theresa May alla guida dei Conservatori britannici e del Governo di Sua Maestà. Ma la promessa di abbandonare a ogni costo l’Ue il 31 ottobre potrebbe costargli cara nell’arco di poche settimane
Com’era largamente atteso, sarà Boris Johnson a subentrare a Theresa May nel duplice ruolo di leader del Partito Conservatore britannico e Primo Ministro del Regno Unito.
Al termine di quasi un mese di campagna elettorale tra i circa 160.000 iscritti ai Tories, l’ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri nella giornata di ieri è stato infatti annunciato come vincitore della contesa per la guida del partito, avendo egli ottenuto 92.153 voti (pari al 66% del totale) a fronte delle 46.656 preferenze conquistate dallo sfidante Jeremy Hunt.
Johnson si insedierà al numero 10 di Downing Street già oggi pomeriggio, una volta che May si sarà recata a Buckingham Palace per rimettere il proprio incarico nelle mani della Regina, ed è molto probabile che nel suo primo discorso ai cittadini della Gran Bretagna ribadirà quelli che sono stati i cardini della sua candidatura a premier: “Deliver Brexit, Unite the Party and the Country, Defeat Jeremy Corbyn” (realizzare la Brexit, unire i conservatori e la Nazione, sconfiggere il leader del Partito Laburista).
Malgrado la relativa tranquillità con cui è arrivato al vertice del Governo di Sua Maestà, il cammino che attende l’ex primo cittadino londinese si presenta da subito tutt’altro che agevole. In primo luogo, la sua promessa di portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea a ogni costo il prossimo 31 ottobre ha provocato non poche proteste tra i numerosi parlamentari Tories che si oppongono a un’uscita senza accordo dall’Unione europea, tanto che alcuni componenti dell’Esecutivo finora guidato da Theresa May (su tutti, il ministro delle Finanze Philip Hammond) hanno già fatto sapere di non essere disposti a servire sotto Boris Johnson.
Di conseguenza, non ci sarebbe da stupirsi se alla ripresa delle attività di Westminster dopo la pausa estiva i critici del Partito Conservatore scegliessero addirittura di appoggiare una mozione di sfiducia contro il nuovo Primo Ministro, qualora questi fallisse nel suo proposito di modificare l’accordo negoziato l’anno scorso da May con la Commissione Ue (la quale si è detta più volte indisponibile a riaprirne i termini) e si dedicasse realmente a perseguire una Brexit no deal.
In aggiunta, non va dimenticato che nella Camera dei Comuni i conservatori possono contare dal 2017 su una maggioranza risicata, basata sull’accordo con gli Unionisti nordirlandesi, che a breve potrebbe ridursi addirittura a soli 2 seggi di scarto, laddove dovessero confermarsi i sondaggi che vedono i Liberaldemocratici (i quali hanno a loro volta scelto una nuova leader, puntando sulla deputata scozzese Jo Swinson) favoriti nell’elezione suppletiva per il collegio gallese di Brecon e Radnorshire.
Dunque, la ‘luna di miele’ su cui potrà contare Johnson sarà decisamente breve e disseminata di ostacoli tali da far tremare i polsi, tanto che per riuscire a gestire il dossier Brexit senza provocare una crisi di governo o di sistema l’ex ministro degli Esteri sarà chiamato a dimostrare di avere una disposizione al compromesso, alla mediazione e al buon senso inusuale per il suo personaggio, noto al grande pubblico per le esuberanze caratteriali e per la propensione ad alterare la verità pur di conseguire i propri obiettivi politici. Difatti, nelle prossime settimane in gioco non ci sarà solo l’eventualità di un secondo referendum sul divorzio di Londra da Bruxelles o delle terze elezioni generali dal 2015, ma la tenuta sul piano politico-economico del Regno Unito stesso, sempre più diviso in Leavers e Remainers.
In altri termini, basterà poco per capire se la scelta di puntare su una figura polarizzante e radicale come quella di Boris Johnson sarà stata la mossa giusta per traghettare la Gran Bretagna fuori dalle acque tempestose in cui si trova a navigare, o se al contrario si rivelerà una decisione avventata e potenzialmente funesta sia per i Tories che per il Paese.